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La guarigione e la domanda che non va via

La paralisi improvvisa, due mesi di ospedale e il sostegno degli amici, tra cure, riabilitazione... E scoperte. Il racconto di Antonio

Torno da tre giorni di Meeting e sono travolto, per l’ennesima volta in questo ultimo periodo. A luglio sono uscito dall’ospedale Niguarda a Milano dove sono stato ricoverato per due mesi e mezzo. L’11 maggio, all’improvviso, mentre tornavo a casa dalla scuola dove insegno, le mie gambe si sono “addormentate”. La diagnosi è stata: ischemia midollare, ostruzione di un’arteria che ha rallentato la circolazione del sangue, dall’addome in giù. E io mi sono trovato immobilizzato (a parte il tronco e le braccia) in un letto.
Lo shock e la paura sono stati forti, per i primi giorni: paura di non camminare più, di essere un marito, padre e professore “dimezzato”. Oltre alla tristezza nel vedere andare in fumo tante attività previste per l’ultimo periodo dell’anno scolastico.

Poi mi hanno travolto una marea di messaggi, un’ondata di affetto, amicizia e preghiere che mi hanno fatto aprire gli occhi: non ero solo con il mio dolore, oltre agli affetti più stretti con me c’era un “popolo” inaspettato. Persone che coinvolgevano altre persone, anche sconosciute, a pregare per la mia guarigione, che andavano in santuari, monasteri e conventi chiedendo preghiere a religiosi e religiose. Senza contare i ragazzi della scuola e i loro genitori. Una cosa incredibile, immeritata, gratuita. Quando poi mi sono accorto del Crocefisso che stava davanti a me sul muro è stato immediato dare un volto a questo popolo. Per l’insonnia dormivo pochissimo, al «primo chiarore del giorno» mi svegliavo e la luce dalla finestra mi svelava il Crocefisso, che era con me sempre. Non dovevo far nulla, solo dire sì.

È cambiato tutto: sono riuscito ad accettare cose che, per il mio carattere, erano insopportabili (cateteri, pannoloni, clisteri), e anzi ho potuto gustare la gentilezza di chi mi lavava, curava, assisteva, confortava, ho potuto fidarmi dei medici e obbedire a ogni richiesta: dalle tante medicine da prendere, ai numerosi accertamenti, all’attività fisica richiesta dalle cure fisioterapiche. Scoprire le diverse persone, ognuna con una sua sensibilità, che mi circondavano: oltre ai compagni di stanza, i medici, le infermiere, i collaboratori, i fisioterapisti, gli studenti del tirocinio… Alcune gentilissime, altre scontrose: eppure da tutte potevo ricevere qualcosa.

A un certo punto si è fatta strada la lieta certezza che mi era offerta un’opportunità: affidarmi a Lui, anche non potendo fare nulla, con la sicurezza che non mi avrebbe lasciato solo e che potevo essere felice. Anche in sedia a rotelle. Potevo “camminare”, sentivo di “camminare” anche fermo in un letto di ospedale.

Con il tempo le cose si sono messe bene. La mia guarigione sta avvenendo in modi e tempi inaspettati. I medici e i fisioterapisti sono stati bravissimi, ma ho la percezione che sia stata facilitata e accelerata da “interventi esterni”: dopo due settimane, ho avuto un miglioramento brusco che ha sorpreso i dottori e che ha cambiato il mio “status” clinico e la mia destinazione, in un’unità di riabilitazione per pazienti meno gravi. I miei progressi sono stati più rapidi del previsto. Intanto ho riconquistato man mano tante piccole e grandi attività “normali”, che in genere diamo per scontate: lavarmi da sol, piegarmi, prendere un oggetto caduto a terra, vestirmi, camminare: prima pochi passi, poi sempre più sicuri.

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Quando sono stato dimesso, non si è concluso il mio percorso, ma sono in piedi, cammino. Mi è rimasto un grande dolore per due compagni di stanza che nel frattempo sono morti. E l’urgenza che lo “stare bene” non spenga la mia domanda di Lui, il mio desiderio di dirGli di sì sempre. A Lui che ha trasformato quella che all’inizio sembrava una “sfortuna” nell’esperienza forse più importante della mia vita.
Andare al Meeting - cosa che sembrava impossibile e anche sconsigliata fino a pochi giorni prima della partenza - è stato un rendimento di gratitudine, un ringraziamento ai tanti che mi hanno sostenuto. A Colui che mi ha sostenuto e mi sostiene, e mi risolleverà ogni volta che cadrò.
Antonio, Milano