(Foto: Jordan McQueen/Unsplash)

L'Affetto che mi dona il mio esistere

Il grande desiderio di poter formare una famiglia, poi il matrimonio e due figlie. Fino al dramma della malattia e della morte. «Se il Signore mi avesse descritto tutte le mie vicende, Lo avrei rifiutato. Perdendomi il meglio». La testimonianza di Attilio

Ho incontrato il movimento a 19 anni per poi lasciarlo e incontrarlo, nuovamente, sul luogo di lavoro, soprattutto attraverso la Scuola di comunità durante la pausa pranzo. Ero già cattolico e frequentavo la parrocchia, ma le reiterate «ha ragione!», che ripetevo mentre leggevamo Giussani, a un certo punto, hanno spostato il mio baricentro umano e spirituale verso CL.
Come ho detto diverse volte ai miei amici, nella vita ho desiderato avere un affetto. Chi mi è stato vicino sa quanto desiderassi formare una famiglia e per questo pregavo il Signore.
Ricordo, ad esempio, il 21 ottobre 2001. Ero in Piazza San Pietro nel servizio d’ordine per la beatificazione dei coniugi Beltrame-Quattrocchi; avevo 42 anni e, mentre seguivo la celebrazione eucaristica, non ho fatto altro che implorare ininterrottamente Dio che mi donasse una famiglia.

Quando, nel luglio del 2003, mi sono finalmente sposato mi sembrava di toccare il cielo con un dito e molto di più quando, due anni dopo, è nata mia figlia. Nel 2009, nel corso della seconda gravidanza, a mia moglie i medici scoprirono un tumore maligno. Fu operata e nostra figlia nacque all’ottavo mese. Dopo quasi cinque anni dalla scoperta della patologia, mia moglie è morta in grazia di Dio. Ricordo che negli ultimi giorni, consapevole di essere alla fine del suo cammino terreno, mi diceva che nella vita non bisogna mai lamentarsi, qualunque cosa accada, perché tutto è per un bene. Rispetto al mio desiderio affettivo non capivo, anzi, ritenevo la sua perdita prematura un tradimento della promessa.
Durante tutto il periodo della malattia né io né mia moglie, però, abbiamo avuto momenti di disperazione; né dopo la sua morte, pur dovendo gestire una situazione delicata con due figlie di 8 e 4 anni. Sentivo concretamente che c’era Qualcun altro che operava per darci sostegno e consolazione, attraverso la vicinanza di amici e la preghiera di molti.

La mia vita trascorreva, più o meno tranquillamente, quando nel 2018 alla mia primogenita è stato riscontrato un tumore al cervelletto e, nonostante lei abbia avuto le migliori cure possibili, due anni dopo l’insorgenza del male, il 15 settembre è salita in Cielo. Il funerale è stato vissuto con serenità, nel senso che non c’era disperazione, né in me né nella mia seconda figlia né nel resto della mia famiglia (mia madre, i miei fratelli).
Mi sono sempre chiesto perché, dopo tutto quello che mi è successo, anche se c’erano momenti di dolore e tante domande, non fossi mai caduto nella disperazione. Sto scoprendo che la mia consistenza non può essere nelle persone a me vicine, per quanto amate tantissimo. La consistenza è in quell’Affetto che me le ha donate, che, prima ancora, mi ha fatto e mi fa dono del mio esistere. La mia consistenza è in Cristo e che mi dà forza.

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Ringrazio il Signore perché, attraverso Giussani e il movimento, mi ha portato piano piano ad avere questa consapevolezza. Se, nel 2003, il Signore mi avesse descritto tutte le mie vicende, Lo avrei rifiutato, perdendomi il meglio. Ho la consapevolezza di essere amato da Dio, proprio perché ha usato misericordia nei miei confronti e mi ha permesso anche di vedere alcuni dei frutti della Sua bontà, come ad esempio una scuola a Kinshasa, capitale del Congo, intitolata alla memoria della mia primogenita ad opera di una suora agostiniana che la conosceva bene.
Ora vivo la mia vita con una ferita nella carne, cerco e desidero vedere come Cristo mi sorprende, ogni giorno, attraverso l’esperienza del di più di intensità di vita che mi fa stare in pace davanti a tutto, per il ridestarsi del fascino del rapporto con Lui.
Attilio, Rieti