La maglietta della vacanza a Calambrone

Per vivere tutto, ma proprio tutto

Una vacanza comunitaria al mare "obbligata" per la disabilità del figlio. Ma quest'anno al gruppo di amici che hanno sempre accompagnato Cristiano, si sono aggiunti anche alcuni malati "quadratini"...

Anche quest’anno, per il terzo di fila, ho partecipato alla vacanza che insieme con alcuni amici di Cremona organizziamo a Calambrone, provincia di Pisa. L’idea è nata per piegarci al bisogno di uno tra noi: mio figlio Alessandro, 17 anni, disabile gravissimo, per ragioni di salute non può andare in montagna. Fin dall’inizio, abbiamo voluto che questi giorni non si riducessero a uno svago superficiale, ma fossero un “tempo di libertà”, dove far emergere “ciò per cui vale la pena vivere”.

Al gruppo degli amici “storici”, quest’anno si sono uniti più di un centinaio di “quadratini”, così chiamati perché dalla pandemia si incontrano su Zoom per la messa quotidiana e si aiutano a riconoscere che Gesù li ama anche dentro la condizione particolare della loro malattia. Mia moglie Silvia, che partecipa a questa esperienza da un paio di mesi, mi dice spesso che tra loro «si respira la presenza del Mistero». Averli conosciuti in questa vacanza ne è stata la conferma.

Ho incontrato persone che non portano rancore per la situazione che vivono. Mostrano, anzi, una pace invidiabile, che non poggia su una guarigione “che arriverà” - perché in moltissimi casi, a meno di un miracolo, non arriverà proprio -, ma sulla loro familiarità con Cristo, nata dal “sì” alle circostanze che vivono. Me lo ha reso evidente Gianpaolo, una sera a cena, raccontandomi di sua figlia Laura. «Abbiamo vissuto un abisso di dolore senza sconti. Ma siamo arrivati al giorno della morte di Laura lieti per il compimento del suo destino». Un uomo che perde sua figlia e non prova rabbia: com’è possibile? «Se fossimo rimasti soli, saremmo usciti devastati», mi ha detto Gianpaolo. «Ci vogliono un cammino e una compagnia. Per noi sono stati gli amici della Fraternità di Laura, i nostri, l’amicizia con don Eugenio Nembrini e l’esperienza dei “quadratini” e la testimonianza di Laura stessa. Tutto questo ha reso possibile la mia certezza che la vita è una strada verso il Paradiso, dove rivedrò mia figlia».

Ho incontrato persone che non si preparano a morire, ma si aiutano a «vivere intensamente il reale». Non misurano i propri limiti, né misurano i tuoi. Desiderano accorgersi «di essere una meraviglia ai Suoi occhi», come mi ha detto Betty, una sera. Betty è in attesa di un rene e il non sapere né “quando”, né “se” arriverà la aiuta ad affidarsi, cioè «a vivere questa circostanza come un passo verso il Destino a cui sono chiamata. La mia immagine di come le cose dovrebbero andare non mi basta più per essere in pace».

Sentendosi amate, queste persone amano senza misura. Cristina, malata e con la mamma che soffre di Alzheimer (curata a casa), era al mare con noi. Da qualche tempo ha accolto in casa una persona senza lavoro né fissa dimora. «Tutti mi chiedono: ma come fai? E io rispondo: è un amore al Signore. E il Signore sempre ti allarga il cuore». Anche il poco che Cristina concede a sé, è per un bene verso gli altri: «Lavoro in Posta, le persone hanno a che fare con me attraverso le mie mani. Per questo sto attenta che siano belle e ben curate: è il mio modo di accogliere chi incontro».

Anche gli amici di Cremona e di Milano sono tornati stupiti da quello che è successo in quei giorni. Beppe ha usato un’immagine incredibile: «Pensa a un orologio e al posto delle ore metti la parola “Avvenimento”. Ogni istante così, senza organizzare gran che, seguendo quel che accadeva». Emanuele si è portato a casa «una grande bellezza, la riconferma di quello che vedo anche qui a casa nei volti dei miei amici». Elisa, che si è spesa nell’accoglienza e nella gestione delle camere del residence, dice che «dopo aver passato una settimana di incontri e chiacchierate serrate, ho percepito che anche io sono oggetto di una preferenza grande e chiedo che quello che ho visto mi possa lasciare un cuore sempre desto e disponibile ad accogliere Colui che riempie la vita sempre».

Giovanni è stato «travolto da qualcosa che i miei pensieri e le mie remore non riuscivano a incasellare: stare a tavola, in spiaggia o in piscina in mezzo a persone così vive, così pienamente presenti a quello che capitava (dal cantare insieme al mangiare, cose semplici) era qualcosa di più grande e più bello di quello che immaginavo, e mi ha permesso di guardare con misericordia i difetti di quelli a me più vicini». Tiziana ha raccontato che i “sì” delle persone che aveva davanti «erano come tante “Annunciazioni”, che mi hanno fatto recuperare il desiderio di dire il “mio sì”, nella circostanza che vivo. E durante una messa, mentre distribuivo la comunione come ministro straordinario dell'Eucarestia, mi sono accorta per la prima volta che il corpo di Cristo che davo coincideva con il corpo di Cristo di chi lo riceveva».

Un altro Giovanni ha confessato di «aver osservato a distanza il gruppo dei “quadratini” che improvvisava momenti di testimonianza a bordo piscina o in spiaggia. All'inizio non mi sentivo attratto da questa modalità. Pian piano, però, ho guardato e mi sono fatto guardare da queste persone. Mi sono fatto scalfire da gesti semplici come l’aiutare un papà a far uscire il figlio dalla piscina, lo scambio fugace di parole o una cena intera a raccontarsi, una serata finale a ballare sotto le stelle. Il desiderio di vita è stato contagioso e il frutto evidente di questa vacanza fuori dagli schemi è la coscienza di essere uniti da un destino buono e dono gli uni agli altri». Persino i bambini non sono rimasti indifferenti a quello che è successo. Anna, 9 anni, ha detto di aver «scoperto un mondo, quello dei “quadratini”, in cui si vivono avventure e sventure, ma sempre felici, perché c’è Gesù».

LEGGI ANCHE - «Con il signor conchiglia viaggio in cerca della grazia»

Io sono tornato a casa senza aver sistemato niente delle preoccupazioni che vivo. Mio figlio resta gravemente malato. Ma ho un desidero cento volte più grande di scoprire quel che ricordava spesso don Eugenio: per vivere tutto, non solo la malattia, ma proprio tutto, serve «incontrare uomini e donne certi e lieti. Di cosa? Dell’unica cosa che conta, quella che ci testimoniava Caterina, dopo il trapianto al fegato andato male: “Sia che io muoia, sia che io viva, io sono di Cristo. Questa è la mia certezza”».
Cristiano, Cremona