In gita durante una vacanza.

Perché le vacanze non siano un ricordo

Le passeggiate delle Dolomiti, una festa nella piazza del Paese, la notizia della morte di un amico. E una domanda a fare da filo rosso a qualche giorno passato insieme: cosa significa realmente fare un cammino?

«Non basta stupirsi, occorre fare un cammino», ci siamo sentiti dire durante l’introduzione della vacanza in Trentino del nostro gruppo di Scuola di comunità; un richiamo che fin da subito ha fatto breccia in noi e ci ha interrogati. Che non basti lo stupore è evidente: quante volte abbiamo sperimentato un senso di libertà, per esempio davanti alle Dolomiti o dopo una giornata trascorsa coi nostri amici, che si è dissolto non appena abbiamo ripreso il sentiero dando le spalle alle vette. Ma allora cosa fare per evitare che i giorni trascorsi insieme finiscano per diventare solo un bel ricordo? Cosa significa realmente fare un cammino?

Circa a metà della vacanza abbiamo organizzato una festa popolare nel paese in cui ci trovavamo: un pranzo pubblico, grazie alla collaborazione di una pizzeria del posto; un pomeriggio di giochi e canti su un palco allestito nella piazza seguito dalla presentazione de Il senso religioso. Intervenuto durante l’incontro sul volume di don Giussani, l’Arcivescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi, ha detto ad un certo punto: «L’uomo prima prega e poi crede; l’essere umano prima riconosce di essere domanda, poi decide di seguire ogni brandello di risposta che intercetta». Sentendo questa frase, abbiamo intuito che il nostro essere lì in vacanza e il desiderio di preparare la festa nascevano dal voler trovare una risposta al nostro bisogno.

La sera di quel giorno arriva una notizia: il figlio di una famiglia del movimento di Milano si è tolto la vita. Davanti a un fatto tanto tragico e misterioso appare evidente che non basta lo stupore: nessuno potrebbe limitarsi a dire: «Sono stupito per quanto accaduto a questo ragazzo», sarebbe una vera disumanità. Tutta la sete di vita, il bisogno di rispondere alla domanda “che senso ha ciò che accade?” davanti a fatti del genere ci fanno riconoscere che ciò che tutti cerchiamo è davvero altro, un Altro totalmente inafferrabile da noi ma che possiamo conoscere e seguire: Cristo.

Le serate e i giochi che si sono tenuti in vacanza si sono ispirati in gran parte alla figura di Takashi Paolo Nagai, il medico giapponese sopravvissuto alla devastazione atomica, la cui vita è cambiata dopo l’incontro con la moglie Midori, appartenente a una famiglia cristiana. Nella prefazione del libro Ciò che non muore mai, l’autobiografia di Nagai, padre Mauro-Giuseppe Lepori dice: «L’uomo attento e intento scopre sempre più che il Mistero è il Tessitore della sua vita. Scopre che la coscienza della vita è la vera conoscenza di sé, la giusta coscienza dell’io che, nel dipanarsi del suo esistere, si scopre sempre più “tessuto” da un Altro, da un tessitore misterioso che riesce a continuare la sua opera e a portarla a compimento anche quando i fili si spezzano, vengono tagliati da forze esterne o bruciati da un nemico che sembra sempre all’opera per contrastare la tessitura di un’esistenza voluta dal Mistero».

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Decidere di aiutare a preparare la vacanza, proporre di camminare in silenzio durante le gite, e poi ancora la festa in paese, i giochi, le serate: tutto quanto nasceva unicamente dal voler conoscere questo Altro. Ecco allora da dove trae origine non solo la gratitudine, ma anche l’ipotesi di lavoro che, a partire da quei giorni, rimane ancora oggi, a un mese dalla vacanza: aver scoperto ancora di più quanto la nostra vita sia realmente in mano a un Altro che noi possiamo incontrare e seguire. Viene alla mente l’augurio che Giussani faceva a chi iniziava, appunto, il lavoro di Scuola di comunità su Il senso religioso: «Avevo detto (…) che una cosa mi permettevo di desiderare che accadesse alla fine del lavoro: che avessimo percepito almeno un po’ che tutto e tutto di noi dipende da qualcosa di più grande di noi; di più grande non nel senso di più voluminoso rispetto alla nostra immaginazione ma pur sempre della stessa natura di ciò che riusciamo a immaginare, bensì nel senso di altro, “totalmente altro”». Qualcuno di così grande che ci permette di guardare tutto, di giudicare e di continuare a seguirlo.
Alberto e Francesca, Milano