Il murale dedicato a Giulia Cecchettin a Milano (Foto Ansa/Paolo Salmoirago)

I sentimenti al posto giusto

Le cronache degli ultimi mesi, piene di fatti che raccontano una violenza dilagante, soprattutto tra i giovani. E la proposta di "un'iniezione" di ore dedicate all'affettività nelle scuole. La riflessione di un insegnante e padre di quattro figli

I fatti di cronaca degli ultimi mesi, dalla vicenda di Giulia Cecchettin agli stupri di Palermo e di Caivano, per citarne alcuni, hanno acceso in me la domanda sulla radice del male e su quale possa essere una strada praticabile da percorrere insieme, famiglie, scuola, agenzie educative e istituzioni, come ha chiesto con forza anche Gino, il padre di Giulia al funerale della figlia.

Provo a partire da quello che vivo, dalla violenza che in qualche modo scorgo in me nella mia quotidianità, con i figli, la moglie, gli amici, i colleghi. O anche con gli estranei. Eppure, lo potrei giurare, io desidero sopra ogni cosa il bene mio e quello degli altri. Che mistero: siamo fatti per il bene ma scivoliamo continuamente verso il male.

Mi rendo conto che questo è il peccato originale e che ogni essere umano porta in sé questa ferita primordiale che richiama il suo essere “creatura”. Se cancelliamo il peccato dalla vita dell’uomo non si capisce più nulla di lui e delle sue cadute. Del suo essere rapporto con un Padre che è Misericordia. Ma chi può liberare l’uomo da questa prigionia che lo rende cattivo? Captivus per i latini è il prigioniero. L’Avvento è proprio il tempo liturgico dell’attesa del liberatore. Solo Dio fatto uomo può liberarci dai nostri sepolcri bui. Deve accadere un umano-divino che ci prenda per mano e ci trascini fuori dal nostro guscio di male. Ma Dio nella sua incessante opera di salvezza affida la sua opera di costruzione alla fragile intrapresa degli uomini, scegliendo alcuni per essere lievito per il mondo intero: ha bisogno degli uomini per essere nella storia.

Da cristiano, padre di quattro figli e docente di scuola, rispetto a questo mi chiedo: qual è il compito che Dio mi affida? Di recente si è parlato di una direttiva del ministero dell’Istruzione dove si stabilisce che nelle scuole vengano svolte 30 ore all’anno di educazione sentimentale/relazionale. È davvero questa la risposta all’ondata di violenza tra i giovani a cui stiamo assistendo? Che il sentimento debba trovare il suo posto nella vita di un uomo è sacrosanto, ma qual è il posto giusto?

Non ho memoria di aver mai seguito corsi in cui mi spiegassero come vivere i miei sentimenti e le relazioni con gli altri. Invece, ho avuto la grazia di incontrare grandi uomini, con un sentimento positivo della vita, educati dall’esperienza di fede cristiana ad un uso ampio della ragione per guardare davvero la realtà tutta, così persuasivo da trascinare anche un certo modo di sentire la vita e di vivere gli affetti.

Scriveva Pavese: «Non ho ancora compreso quale sia il tragico dell’esistenza […]. Eppure è chiaro: bisogna vincere l’abbandono voluttuoso e smettere di considerare gli stati d’animo quali scopo a sé stessi». Se un’urgenza oggi c’è, credo che questa abbia a che fare non tanto con un addomesticamento dei sentimenti e delle relazioni umane, quanto piuttosto con una sana educazione all’uso della ragione. Solo una ragione ben educata restituisce al sentimento il suo giusto posto e alle relazioni con gli altri il loro prezioso compito. Ma è possibile educare la ragione di un uomo? Come questo può accadere a scuola?

«Il vertice della conquista della ragione è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende. È l’idea di Mistero», dice don Luigi Giussani ne Il senso religioso: «Il mondo è un segno. La realtà richiama a un’Altra. La ragione, per essere fedele alla natura sua e di tale richiamo, è costretta ad ammettere l’esistenza di qualcosa d’altro che sottende tutto, e che lo spiega». La battaglia culturale, in campo educativo come in tutti i campi dell’umano, è dunque intorno alla concezione di ragione e, nel nostro lavoro di insegnanti, si gioca innanzitutto nell’opzione di cui diversi anni fa parlava Papa Benedetto XVI, affermando che la ragione è veramente sé stessa quando è disponibile a lasciarsi continuamente “allargare” dall’impatto con la realtà, riconquistando così ogni volta la sua natura originale.

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Occorre, quindi, educare a una lealtà e ad un rapporto vero con tutta la realtà secondo quel dinamismo che spinge la ragione umana ad andare verso la totalità. E cosa permette questo tipo di educazione se non il contagio con un’umanità capace di testimoniare questo con la sua vita? Solo uno sguardo così vissuto, imparato e mendicato può trascinare anche il nostro modo di sentire la positività della vita e di percepire il Mistero in tutti quelli che incontriamo, riconoscendo il valore sacro dell’altro. L’unico vero argine alla violenza insensata è recuperare l’orizzonte del significato ultimo della vita. Di fronte a questo fiume di violenza non si tratta appena di aggiungere 30 ore di educazione sentimentale/relazionale al piano curriculare, quanto piuttosto di recuperare il senso autentico dell’ora di lezione, come luogo di educazione alla ragione in cui è proprio la materia stessa che può dilatare nei cuori dei ragazzi il sentimento supremo: quello di essere voluti, amati, desiderati.
Alfonso, Catania