(Foto Unsplash/Libby Penner)

«Quando sono “all’altezza”?»

La vigilia di Natale con i genitori e, la mattina dopo, il portare la Comunione al padre. Lucia racconta quello che ha vissuto. E quell'anticipo «di Cielo qui»

Dopo quattro anni, causa Covid e problemi di salute di mio padre, quest’anno finalmente ho cenato con i miei genitori la vigilia di Natale. È stata un’esperienza che mi ha segnato. Vedere mio padre sereno, godendosi la nostra compagnia, senza quel fare polemico con me che fino a qualche tempo fa lo contraddistingueva, mi ha colpito. Mi sono trovata davanti tutta la sua debolezza fisica: le mani tremanti, il passo incerto, avendo bisogno per salire i tre scalini del mio ingresso, per abbottonarsi il cappotto, e lui che docilmente si lasciava aiutare, lui che è sempre stato una roccia, che mi ha sempre insegnato che non bisogna mai chiedere a nessuno. Sembrava quasi godere nel lasciarsi aiutare, con libertà e con tenerezza. Ho pensato: ecco cos’è l’uomo, è bisogno, bisogno infinito. E non mi è sembrato un di meno, mi è sembrato “vero”, liberante anche per me che sono tanto orgogliosa, che non voglio mai chiedere, che ho vissuto sempre sentendomi addosso la pretesa degli altri e di me stessa per dover essere all’altezza... Ma all’altezza di cosa? E, soprattutto, quando sono all’altezza?

Non mi ero mai fatta questa domanda. Lo sono quando mi lascio umanizzare dalle circostanze, dalle persone, dalla vita, quando riconosco tutta la mia dipendenza strutturale e affettiva di figlia di un Padre buono che mi ha pensato, voluto, amato, e continua ad amarmi così come sono e che non mi chiede altro che di dargli il mio cuore. Sono all’altezza quando sono vera, quando sono leale con la mia vera natura.

La mattina di Natale ho portato la Comunione a mio padre - da qualche anno ho ricevuto il regalo di essere ministro straordinario dell’Eucaristia -, l’ho trovato già vestito, pronto. Mi ha detto: «È una settimana che mi preparo a questo». Lui che è sempre stato indaffarato da mille cose l’ho visto preso da una sola, ed è stato come se in quel momento si fosse riversata l’intensità di tutta una vita, tutto il tempo “rubato” a me e a mia mamma per il suo correre era lì, offerto a Cristo davanti a me. C’è un tempo per correre, un tempo per l’efficienza, un tempo per fare, e poi arriva il tempo per “essere” e basta. Mi ha impressionato la pace con cui ero lì, diciamo, a contemplare: niente recriminazione su quello che è mancato, niente rammarico per il tempo perduto o gli errori reciproci, e improvvisamente quel tempo tolto a noi mi è sembrato investito, con la lentezza che doveva avere, per una coscienza nuova sua e mia.

LEGGI ANCHE - Mosca. «È vicino! il Signore è qui!»

Davvero Gesù fa nuove tutte le cose, sono le stesse, ma dà occhi nuovi per vedere in profondità, dà una sapienza che fa penetrare i fatti fino a toccare quel sovrappiù, che è il Cielo qui. Io credo alla vita eterna, credo al Regno di Dio, credo che niente andrà perduto, credo perché già qui comincio a viverne un anticipo.
Lucia, Ravenna