Durante il campo scout a Macugnaga

«Dio chiede disponibilità, non capacità»

Un gruppo di universitari propone ai ragazzi scout un campo invernale a Macugnaga. A tema, la figura di san Pietro. Tra assemblee, gite e la testimonianza del francescano padre Ielpo, l'emergere di tante domande

«Tu sarai chiamato Cefa». Questo il titolo del campo scout invernale che circa 60 ragazzi di Varese, di terza media e prima superiore, hanno vissuto a Macugnaga. L’idea era nata tra noi capi scout - universitari che partecipano dell’esperienza del CLU a Milano –, per il desiderio di condividere anche con loro quanto avevamo scoperto agli Esercizi spirituali tenuti da don Francesco Ferrari, che ci aveva fatto guardare alla figura storica di san Pietro.

I giorni sono trascorsi tra gite in montagna, giochi, serate canti e testimonianze. Per aiutarci abbiamo proposto un libretto sulla figura di san Pietro che traeva spunto da alcuni scritti di don Giussani, dal libro Simone chiamato Pietro di padre Lepori, e dagli Esercizi che avevamo appena vissuto.

Alla prima assemblea, abbiamo chiesto ai ragazzi cosa si aspettassero e cosa attendessero da quei giorni, anche a partire dal confronto con la frase di padre Gabriel Romanelli, parroco a Gaza, in apertura del libretto: «Per far crescere la nostra fede, perché noi possiamo resistere anche quando tutto sembra buio, Dio ci ha offerto un’amicizia». «Spero di tornare a casa un po’ più grande», ha risposto un ragazzo; «Voglio staccare dai problemi che ho a casa», ha aggiunto un altro; «Voglio stare con i miei amici e tornare a casa in America più desideroso di andare avanti», e infine: «Gli anni scorsi ho visto in altri un’amicizia invidiabile. Vorrei viverla anche io in questi giorni». Ciascuno di loro, pur “ingombrato” da pensieri e preoccupazioni, ha espresso il bisogno che il campetto potesse essere un’esperienza significativa. L’unica indicazione che ci siamo sentiti di dare, a loro e a noi, è stata quella di utilizzare quei giorni come un’occasione di confronto tra le domande che portavamo nel cuore e la realtà: insomma, di vivere quello che c’era da fare «con quelle domande a fior di pelle».

La proposta di paragone, soprattutto con il lavoro del libretto, è stata accolta oltre ogni aspettativa. E questo non certo per le capacità dei singoli, ma per l’accadere di un’amicizia tra noi capi e quindi tra i ragazzi. Nella sua testimonianza, padre Francesco Ielpo, un amico francescano che ci ha raccontato della sua vita, ci detto: «Dio non ti chiede una capacità, bensì una disponibilità. La mia disponibilità, il mio “sì” mi hanno salvato. Come si gioca questa disponibilità? Stando noi, insieme, sulle tracce di Cristo».

Era chiaro che, con il passare dei giorni, il bisogno confuso di “realizzazione” e di felicità espresso nella prima assemblea si stava trasformando in un crescente stupore per quello che accadeva davanti agli occhi. L’incontro con Pietro, le testimonianze, i giochi, i canti sono diventate così ambito della “disponibilità”: anche per noi era possibile dire “sì”.

Un ragazzo di prima superiore una sera ha chiesto di parlare con noi capi. Con le lacrime agli occhi, ci ha raccontato di come negli ultimi mesi fosse nata in lui la domanda sulla fede, e insieme il dubbio che la compagnia dove fino ad allora aveva vissuto (quella del movimento) non fosse più adeguata al suo desiderio di felicità e a rispondere alle domande di senso che aveva nel cuore. Lungi dal proporre una risposta “risolutiva”, abbiamo però constatato con lui che l’insorgere di una domanda è un segno prezioso e testimonianza del fatto che esiste un posto dove una questione così vitale può essere accolta. All’assemblea finale lo stesso scout ha detto: «Da questo campetto porto a casa molto. Mi sono sentito a tratti inadeguato, forse a volte non molto simpatico. Però ho capito che, poiché Gesù ha affidato la sua testimonianza nel mondo a Pietro, un peccatore come me, non mi devo sentire indegno, ma devo stare nei posti dove sono felice. Io posso valere stando dove sono».

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Sempre all’assemblea, una ragazza ha raccontato: «In questi giorni, grazie anche al libretto e all’incontro con padre Ielpo, ho capito che la presenza di Dio non è astratta, ma è dietro le cose concrete che succedono ogni giorno, dallo sguardo di un amico alle montagne. Per questo la fede, anche se non capisco tutto, mi affascina. E questo fascino è più importante della mia possibilità di comprensione». E un altro, riassumendo i giorni trascorsi, ha detto: «Gesù guarda dritto al cuore, non alla capacità. Io in questi giorni ho fatto questa esperienza: andavo lento in gita, e qualcuno dietro mi incoraggiava: “Forza, vai avanti!”. Cioè, non era una critica, ma volermi bene». Tanti si sono alzati per raccontare di come fosse accaduto qualcosa.

Dopo la vacanza, ci siamo trovati tra noi capi scout per parlare dell’esperienza fatta. Patrizia, la nostra responsabile, ci ha detto: «Il campetto è nato da un fatto - gli Esercizi - che per alcuni di voi erano stati particolarmente significativi. Lo stesso fatto non dice le stesse cose a tutti, ma colpisce e parla al cuore di alcuni in modo talmente significativo da diventare la possibilità anche per altri. Cosa ci ha sorpreso nei ragazzi? Una inaspettata immedesimazione vissuta in modo semplice, con un uomo come Pietro, secondo la modalità in cui l’avete raccontato. Tanto che molti hanno citato il libretto, cosa molto rara, e la testimonianza di padre Ielpo. Cosa in fondo ci ha sorpreso? L’attaccamento all’esperienza. L’esperienza sorprendente che quella Presenza è proprio inerente alla vita. E in modo eccezionale questo passa sempre attraverso la bellezza di una esperienza di comunione che hanno visto in voi».

Tra noi responsabili, ora, emerge sempre di più la stessa gratitudine che i ragazzi descrivevano: aver incontrato un posto che fa diventare questo “Tu” misterioso una realtà incontrabile e un’esperienza sempre più familiare.
Davide e Guido, Varese