Un momento del vertice della FAO a Roma, il 24 luglio (Foto: Ansa)

«O cresciamo insieme o perderemo tutti»

Il vertice sullo Sviluppo e quello della FAO. Per Giampaolo Silvestri, segretario generale di Avsi, hanno messo a fuoco le sfide dell'aiuto allo sviluppo: una nuova partnership con l'Africa e una cooperazione che non dimentichi la persona
Maria Acqua Simi

In questi giorni si sono tenuti due importanti vertici internazionali: quello sullo sviluppo e le migrazioni e quello della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura. Per un lettore comune è difficile capire cosa accade in questi summit. Di cosa si è parlato e che contributo ha portato Avsi?
Il summit su sviluppo e migrazioni di domenica scorsa va integrato in una sequenza di scelte compiute dal nostro Paese importanti e generative, quando libere da riduzioni sovraniste e dalla paura di aprirsi. Già nel giugno scorso Avsi era stata invitata, insieme a pochi altri testimonial come Samanta Cristoforetti, a intervenire alla presentazione della candidatura di Roma a Expo2030. Una scelta che aveva indicato come ormai la cooperazione allo sviluppo (che è il lavoro di Avsi) sia riconosciuta come asset del sistema Paese che vuole accreditarsi nel mondo, e quindi della politica estera italiana. Anche la conferenza internazionale di domenica scorsa su sviluppo e migrazioni è stata importante: insieme ai leader africani e del Golfo, ha ufficialmente lanciato il processo di Roma verso il "Piano Mattei per e con l’Africa. Consapevoli di tutti i rischi di questa impresa, continueremo a vigilare perché la dignità della persona umana sia tutelata sempre e in ogni contesto, ma vogliamo dare credito a questo nuovo percorso: l’ambizione di avviare una nuova partnership con l’Africa che generi sviluppo per tutti. Nei fatti è il nostro lavoro dall’inizio della nostra storia, 50 anni fa, perché lo sviluppo nasce solo da una relazione alla pari.

Cosa significa?
La parola chiave dello sviluppo per noi è partnership, alleanza. Alla pari. I destini di Italia, Europa, Mediterraneo e Africa sono interconnessi. Non esiste più quella distanza noi/loro, per la quale c’è qualcuno che aiuta qualcun altro. O cresciamo insieme, in un mutuo scambio, oppure entrambi siamo destinati a perdere. Questo è emerso dai lavori della conferenza internazionale, e noi vogliamo dare il contributo che viene dall’essere presenti sul terreno africano da cinquant’anni, a contatto diretto con le persone e i loro bisogni.

Anche il vertice della FAO è andato in questa direzione?
Il summit delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari, che si è tenuto a Roma da lunedì 24 a mercoledì 26 giugno, è un evento diverso: si è fatto il punto sul lavoro compiuto in questi due anni trascorsi dal precedente summit, si sono ascoltate esperienze diverse e si sono rinnovati gli impegni della comunità internazionale per rendere il cibo accessibile a tutti. Uno dei temi salienti è stato questo: di cibo per tutti ce n’è e ce ne potrà essere, occorre lavorare per produrlo in modo sostenibile e per distribuirlo in modo equo.

La FAO ha evidenziato molte criticità a livello internazionale e posto l’obiettivo “fame zero” entro il 2030. È un obiettivo credibile? Quali sono le sfide più urgenti e quali le risposte messe in campo da Avsi?
Credibile o meno, è un obiettivo obbligatorio, non c’è altra strada da percorrere: agire, investire, mettere insieme soggetti diversi per fare in modo che tutte le persone possano avere di che mangiare. Non è accettabile che oggi ci sia ancora chi muore per mancanza di cibo. Potrei dire che Avsi lavora ovunque per questo obiettivo: ogni nostro progetto punta a fare sì che la persona possa divenire protagonista della sua vita, quindi avere i mezzi - in primis il cibo - per respirare, crescere, accedere all’educazione, trovare un lavoro e divenire autonoma, vedere i propri diritti rispettati, la propria dignità tutelata e promossa.

La sussidiarietà può essere un aiuto alla cooperazione internazionale? È pensabile una collaborazione virtuosa anche con il settore privato? Voi avete già fatto esperienza di questo?
La sussidiarietà è una delle condizioni dello sviluppo. Che si può raggiungere solo insieme. Tutti sono soggetti di cooperazione allo sviluppo, le organizzazioni della società civile, ma anche le università, le istituzioni, e il settore privato. Avsi lavora molto con le imprese, ognuno secondo il suo proprio compito, per rispondere alle sfide della realtà e promuovere uno sviluppo sostenibile e duraturo per tutti.

Ci aiuti a capire: cosa significa concretamente pensare a modelli di sviluppo dove «non esiste più quella distanza noi/loro», ma si cresce insieme?
La divisione - noi ricchi e sviluppati/loro poveri e sottosviluppati - è stata superata dalla storia. L’agenda 2030 lo sostiene da decenni, la pandemia lo ha tragicamente confermato, ma gli approcci e i finanziamenti di molti donatori sono ancora pensati come l’aiuto di una parte verso l’altra. E a corto raggio. La cooperazione si sta già muovendo per cambiare, ma occorre fare molto di più: tante organizzazioni e donatori con l’alibi di “mandati specifici” lavorano poco per costruire una risposta solida ai problemi e la situazione resta sostanzialmente immutata. La conseguenza è che le crisi diventano cicliche. Occorre agire insieme, in partnership Africa, Europa, Mediterraneo. Crediamo sia fondamentale co-progettare insieme alle comunità locali per integrare simultaneamente interventi economici con interventi sociali e piani sanitari con interventi di tutela dell’ambiente: non ha senso costruire infrastrutture senza partire dal coinvolgimento progettuale delle comunità che le useranno. Così come non ha senso, ad esempio, disegnare piani vaccinali senza partire da singoli, comunità, istituzioni locali.
Se si punta allo sviluppo, non si può mai separare il bene della singola persona da quello della famiglia-comunità a cui appartiene: se va ridisegnata l’urbanistica di un quartiere di periferia, lo si deve fare con gli abitanti. Se si aiutano profughi e rifugiati, si devono creare programmi che sostengano insieme chi accoglie e chi arriva.

Voi di Avsi usate quindi un approccio integrato…
Sì, un approccio integrato, sistemico e multistakeholder, che richiede l’integrazione e la collaborazione di tutti gli attori coinvolti nello sviluppo, dai beneficiari fino ai governi dei Paesi in cui operiamo; richiede sussidiarietà, co-programmazione, co-progettazione, co-implementazione, accompagnamento. Mai paternalismo, ma invito al protagonismo. L’approccio multistakeholder chiama in campo tutti i soggetti investiti dalla sfida dello sviluppo: c’è questo ampio spazio per sperimentare e innovare.

Lo sguardo di Avsi alla persona ha un’origine chiara e un valore riconoscibile da tutti, credenti e non. Mettere la persona al centro, lavorare per uno sviluppo integrale costa sacrificio. Come non perdere di vista ciò che vale veramente, mentre intorno si agita il mare magnum della burocrazia?
La memoria delle nostre origini alimenta ogni nostro scelta e progetto nuovo. Proprio in virtù di questa gratitudine per come è nata, per la rete di rapporti che la sostiene e che a sua volta ha avviato, non temiamo il mare magnum. Crediamo che la realtà sia un positivo. Partiamo da qui e, nei contesti che ci sono dati, proviamo a restare fedeli alla nostra origine e alla nostra visione: lavorare per un mondo in cui la persona, consapevole del suo valore e della sua dignità, sia protagonista dello sviluppo integrale del singolo e della comunità, anche in contesti di crisi ed emergenza.