Carabinieri all'esterno del Parco Verde a Caivano (Foto Ansa/Cesare Abbate)

Decreto Caivano. Il nodo rovente della "povertà educativa"

La normativa sui minori ha suscitato commenti a caldo per lo più negativi. Un magistrato in pensione ha letto, con calma, il testo del nuovo provvedimento. Per capire la logica dell'intervento, i suoi pregi e i suoi difetti
Alda Vanoni*

È stato nei titoli d’apertura dei giornali per un paio di giorni, qualche commento nelle pagine interne, poi l’incalzare degli avvenimenti ha tolto interesse per la questione: il “decreto Caivano”, più precisamente decreto-legge 7 settembre 2023 contenente «misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile».
Ho letto commenti a caldo per lo più negativi, che ne affermano un impianto repressivo e come tale inefficace.

Ho avuto la curiosità di capire, e mi sono trovata davanti la difficoltà non indifferente di comprendere il reale portato di una normativa costruita solo con parziali modifiche di leggi precedenti. (Esempio: «al decreto-legge 20 febbraio 2017 n. 14, convertito con modificazioni, dalla legge 18 aprile 2017 n. 48 sono apportate le seguenti modificazioni: all’art 10, il comma 4 è sostituito...»). Con una siffatta tecnica redazionale non è immediato, anche per chi ha una certa consuetudine con la materia, decifrare la volontà del legislatore, né le conseguenze concrete.

Premetto che si tratta appunto di un decreto-legge: cioè di un atto del Governo, emanato in via urgente, e che deve essere confermato – convertito in legge – dal Parlamento (Camera e Senato) nel termine di 60 giorni, a pena di decadenza; c’è dunque il tempo per valutare e modificarne gli aspetti più critici.

Il titolo del decreto legge mette insieme la povertà educativa, il disagio giovanile e la criminalità minorile; tre fenomeni strettamente legati, quasi l’uno lo sviluppo dell’altro, come un cannocchiale che si apra. E tutti i commentatori hanno ribadito, con diverse sottolineature, che il problema reale, fondamentale, è quello educativo, opponendolo a una visione meramente repressiva.

Siamo tutti d’accordo che occorra aiutare le nuove generazioni a non perdersi nei vicoli della superficialità edonistica, delle dipendenze, della delinquenza; non è fuori luogo che se ne preoccupi anche l’istituzione statale, perché i ragazzi di oggi sono il futuro di domani.

È tuttavia nuovo l’uso del termine “povertà educativa”; una chiara affermazione di inadeguatezza, più o meno diffusa, delle agenzie educative tradizionali, famiglia e scuola in primis. E con il decreto Caivano lo Stato cerca di mettere “delle pezze” a una situazione educativa che presenta molti buchi e strappi. Lo fa con gli strumenti propri dell’istituzione statale: con leggi e stanziamenti economici. Lo fa con un intervento straordinario per il Comune di Caivano, destinando nuove risorse alla scuola del Mezzogiorno, aumentando le pene massime per l’uso improprio delle armi e per il traffico di stupefacenti, rendendo più stringenti alcune misure amministrative di polizia preventiva (ad esempio il foglio di via obbligatorio, l’ordine di allontanamento, l’avviso orale del questore…).

Nei confronti dei minorenni, il decreto, contrariamente a quanto affermato da taluni, non diminuisce l’età imputabile penale (che rimane a 14 anni compiuti), ma allarga i casi in cui è possibile la carcerazione preventiva (ossia prima della sentenza definitiva di condanna) per minorenni accusati di reati non colposi di una certa gravità; applica anche ai ragazzi tra i 18 e i 14 anni il cosiddetto “daspo urbano”, ossia il divieto di accesso a determinati luoghi, in particolare scuole e università, nell’ambito del contrasto alla droga. A fronte del problema “bullismo” tra minorenni, che né la scuola né le famiglie riescono sempre ad arginare, è prevista la facoltà del questore di “ammonire” gli ultraquattordicenni anche in assenza di querela o denuncia da parte della vittima (è noto che spesso le vittime non hanno la forza e la libertà di reagire) può essere “ammonito” anche l’ultradodicenne (che, penalmente, rimane non imputabile) a fronte di reati gravi. Il genitore è convocato assieme al ragazzo/a, e può anche essere multato se non dimostra di «non aver potuto impedire il fatto».

Messaggio repressivo? In un certo senso sì: il legislatore usa “i muscoli” della sanzione penale e delle misure di polizia per sottolineare la negatività di certi comportamenti. È uno spauracchio inefficace? Non del tutto; ricordiamo che il divieto di fumo nei locali pubblici ha oggettivamente diminuito il fenomeno. La sanzione penale ha anche una ricaduta lato sensu educativa, perché pone dei paletti, dei limiti, che suggeriscono un uso più corretto della libertà individuale; con un buonismo indifferenziato, in cui il male e il bene sono pressoché contigui, non si aiuta la crescita dei giovani.

Non è inesistente una preoccupazione di prevenire e rieducare: l’obbligo di trasmettere gli atti all’autorità giudiziaria minorile quando un minore risulta coinvolto in processi penali di associazione mafiosa o di narcotraffico, al fine di prendere provvedimenti a tutela del ragazzo, dimostra l’attenzione al bisogno educativo più che alla responsabilità penale; anche la possibilità di chiudere un processo penale a carico di un minorenne con un percorso rieducativo parte da questa premessa, benché le modalità proposte sembrino poco realistiche – ci vuole del tempo e un accompagnamento per un effettivo “recupero”.

L’obbligo scolastico è rinforzato con una robusta sanzione a carico dei genitori: addirittura il carcere, e ciò sembra ragionevolmente un eccesso (chi si prenderà cura dei ragazzi intanto che i genitori scontano la pena?), speriamo emendabile in sede di conversione in legge.

Quanto poi possano essere efficaci gli “interventi per il Comune di Caivano” di cui al capo I del decreto, lo si potrà capire nel tempo. Le tre “stese” cui abbiamo assistito allibiti dimostrano quantomeno che la malavita locale si è sentita provocata; il che mi sembra meglio che un silenzioso abbozzare, sul presupposto che «tanto non cambia niente».

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Resta, comunque, un problema di fondo. Che è, temo, al di là della possibilità di intervento e quindi competenza del Governo e dello Stato in generale: l’effettiva educazione, e non solo istruzione, dei giovani. La povertà educativa non è solo mancanza di istruzione o di possibilità di espressione delle proprie capacità e talenti, non basta aumentare il numero degli insegnanti, informatizzare la scuola, costruire centri sportivi e luoghi di aggregazione. Ai giovani adesso mancano, ancor prima degli strumenti, degli adulti che li accompagnino; adulti che sappiano indicare una strada positiva e abbiano voglia e disponibilità di condividerla con i più giovani; in una parola, adulti educatori; e non basta una laurea.

Che lo Stato parli di “povertà educativa” è una provocazione per tutta la società, per tutti noi. Per noi genitori e per noi insegnanti, per chiunque abbia un ruolo che lo pone a fianco di giovani in crescita, nei media o negli svaghi… Educare è faticoso.

*magistrato in pensione