La mostra di Famiglie per l'accoglienza esposta a Milano dal 26 al 29 ottobre 2023

Dove la vita si riempie di qualcosa di nuovo

Ragazzini stranieri che vivono in un centro di accoglienza, signore di passaggio, una neolaureata curiosa... Sono solo alcuni delle decine di incontri accaduti alla mostra allestita in centro a Milano da Famiglie per l'accoglienza
Stefano Filippi

Milano, corso Garibaldi, una delle strade eleganti della città. La quattrocentesca Biblioteca umanistica della parrocchia di Santa Maria Incoronata è un continuo via vai di persone che visitano la mostra “Non come ma quello. La sorpresa della gratuità” allestita da “Famiglie per l’accoglienza” dal 26 al 29 ottobre scorsi. Era stata inaugurata a Rimini al Meeting 2022 per i quarant’anni dell’associazione e ora sta girando l’Italia. Turisti, passanti, gruppi di milanesi, un’umanità varia spesso semplicemente incuriosita dalla novità della proposta: le opere di 14 famosi artisti coinvolti con l’esperienza dell’accoglienza familiare. E poiché alcuni di questi maestri vivono proprio a Milano, le loro opere erano esposte in originale - e non riprodotte sui pannelli - in questo luogo bello e capace di richiamare tanta gente.

La prima sera entra un gruppo di ragazzi stranieri. Sono minori non accompagnati ospitati in un centro di accoglienza nel quartiere Bonola. Albanesi e kosovari. «Non conoscevamo gli educatori che li hanno condotti e non abbiamo nemmeno capito da chi avevano saputo della mostra, probabilmente da colleghi», racconta Paola Brizzi Trabucco, una dei volontari che ha fatto da cicerone ai visitatori: «Soltanto uno parlava un po’ di italiano. Era una delle mie prime guide e cercavo di esprimermi in modo semplice accompagnandoli nel percorso della mostra senza aprire altre ferite. Ma sono stati loro a sorprendermi facendomi notare particolari delle opere di cui non mi ero accorta pur avendo collaborato alla realizzazione. Nel quadro centrale di Luca Gastaldo, per esempio, predomina il buio con una lama di luce che fa intravedere un prato e una casa. Un ragazzo mi ha fatto scoprire che nella piccola fetta di campo illuminato si scorgevano fiori rossi: non li avevo visti prima! Lo colpiva che dove c’è una casa si vedessero perfino i fiori di notte e la vita si riempie di qualcosa di nuovo. Prima di uscire il ragazzo ha scelto un segnalibro con quel particolare».



Altri si soffermavano davanti alla fotografia di Claudio Tadiotto che raffigura papà, mamma e due bambini che corrono su una spiaggia d’inverno tenendosi per mano. «Solo le due persone agli estremi hanno i piedi a terra, quelle in mezzo no, corrono saltando. Uno dei ragazzini ha osservato che creavano come un ponte, un legame tra due sponde: proprio quello che cercavano loro, lontani da casa in un Paese sconosciuto. E poi erano colpiti dalla gioia dei volti, soprattutto quello della mamma: di donne felici devono averne conosciute molto poche», osserva Paola: «Io stessa ho raccontato il gusto dell’accoglienza sperimentato quando ho avuto in casa una ragazza già maggiorenne in ospitalità».

Una mostra di anniversario diventa così il modo con cui comunicare lo stupore per la propria vita oggi. «Un giorno mi sono trovata a spiegare la mostra a un gruppo che fu agli inizi di Famiglie per l’accoglienza», continua Paola: «Cosa mai potevo dire a gente così? Avrebbero dovuto loro fare da guide a me. Eppure, mi ascoltavano come se gli stesse capitando qualcosa di nuovo. E ho capito che l’esperienza fatta non era certo un “devoto ricordo”».



Buona parte dei visitatori, però, non conosceva l’associazione. Gente arrivata per caso all’Incoronata. «Molte signore della parrocchia o pensionate di passaggio», spiega Angela Penzo Fabris, un’altra volontaria: «Persone che conoscono bene cosa sia crescere un figlio, accogliere l’altro da sé, accettare le differenze. Perdonare. E anche riconoscere le proprie inadeguatezze. Alcune si commuovevano ripensando al loro passato e a cosa vuol dire essere madri o nonne».

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Le ragazze e le donne più giovani invece si interrogavano sull’ignoto che entra in una casa quando arriva un figlio, che sia naturale, in affido o adottato. «Un bambino è per tutti un mistero che ribalta la vita», aggiunge Angela: «Una neolaureata è arrivata perché aveva appena discusso la sua tesi sull’inclusione: era lì per studio, ma è rimasta colpita dalla questione umana posta dalla mostra e si è messa in discussione. Un’altra, al termine della guida, mi ha chiesto se è proprio vero che non sei da solo quando accogli. Lì mi sono accorta che per noi è evidente la compagnia che ci sostiene, e che senza questo aiuto non potremmo fare niente. Sono stata contenta che anche i visitatori della mostra, in qualche modo, ne siano stati raggiunti. “Certo che siete fortunati ad avere amici così”, mi dicevano taluni. È vero, è una cosa che non dipende da noi. Più racconti come ci sosteniamo, più ti rendi conto che questa diversità visibile è una cosa dell’altro mondo».