Nisida (Unsplash/Mario Esposito)

Nisida. Tutt'altro che una pezza sporca

Le reliquie "pellegrine" del giudice Livatino hanno fatto tappa anche nella casa di reclusione per minori di Napoli. Le domande dei ragazzi, il silenzio, la commozione. Il racconto di quelle poche ore
Giovanni Iovinella

«Allora ragazzi, sabato prossimo arriverà qui da noi la reliquia del beato Rosario Livatino». «Direttò, ma sabato abbiamo i colloqui con i familiari», ribatte un ragazzo. Un altro: «La reli… che? Ma chi è questo Livatino?». «Tra tanti santi proprio un giudice?…».

Comincia con una miriade di obiezioni l’incontro in vista dell’ingresso all’Istituto Penale per Minorenni di Nisida della reliquia del giudice ragazzino, il beato Rosario Livatino. È venuto a trovarci l’avvocato Mario Barretta, responsabile della Libera Associazione Forense in Campania, che ci aiuterà a prepararci a questo evento. Barretta ha a che fare con giudici e imputati, conosce un po’ l’ambiente, e su Livatino è preparato perché ha da poco organizzato, con alcuni amici, la mostra (visitatissima) proprio sul beato al Tribunale di Napoli. Lo considera proprio un suo amico. Ma non gli è mai capitato di dover rispondere alle domande “semplici” di ragazzi detenuti, che all’inizio possono apparire dettata da una curiosità superficiale. Però lui intuisce che non può fermarsi all’apparenza e dice che ognuno si troverà di fronte a un’alternativa: «Guardare a uno straccio sporco oppure alla camicia insanguinata di un giovane giudice, fissando negli occhi i propri assassini ha detto: “Picciotti, che cosa vi ho fatto?”».

«Direttò, allora se stanno così le cose, avimm’ a scegliere ‘na bella canzone». «Purché non sia di un neomelodico...». Con l’aiuto di don Fabio, il cappellano di Nisida, e a partire da quello che è venuto a galla nel dialogo, si compie la difficile scelta. Così sabato 2 marzo, in una cappella gremita di magistrati, avvocati, ma soprattutto di ragazzi, prima del gesto ascoltiamo Se non ami di Nek. Don Fabio fa, poi, risuonare nell’aula il brano del Vangelo di Giovanni 15: «Rimanete nel mio amore… amatevi gli uni gli altri…» e a don Calogero, sacerdote della diocesi di Agrigento che accompagna nella peregrinatio la reliquia, appunto la camicia sporca di sangue: «Per il giudice Livatino rendere giustizia è preghiera. Il peso del potere, se esercitato in libertà e autonomia, senza atteggiamenti da superuomo, aiuta a dare alla legge un’anima. Un magistrato diventa santo perché non ha guidato le persone a sé, ma ha guardato sempre al bene per gli altri. Una persona che ama è sempre pronta a dare la vita per amore. Lui l’ha data per la sua terra afflitta dai soprusi della mafia. Ma la cosa più bella è che per Livatino non esisteva il reo, ma una persona da ascoltare. Il male si trasforma in bene. Il suo sacrificio ha generato un’onda di bene».

Don Calogero, poi, si rivolge ai magistrati presenti, richiamando le parole di Livatino a una conferenza del 1986 a Canicattì: «Il compito dell’operatore del diritto, del magistrato, è quello di decidere e decidere è scegliere, una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Non soltanto perché la scelta dirime una problematica del passato. È proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. Il magistrato non credente sostituirà il riferimento al trascendente con quello al corpo sociale, con un diverso senso ma con uguale impegno spirituale. Entrambi, però, credente e non credente, devono, nel momento del decidere, dimettere ogni vanità e soprattutto ogni superbia, perché la legge è un mezzo e non un fine».

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I ragazzi ascoltano in silenzio. Qualcuno accenna il segno della croce, qualcun altro si sistema sulla sedia in un altro modo, composto. Un clima di raccoglimento e di commozione. E poi, spontanee, cominciano le richieste, come accade la domenica a Messa al momento della preghiera dei fedeli: per tutti i detenuti… per le nostre famiglie… per gli ammalati…

Uscendo Gennaro dice al direttore: «Nun simm’ stat’ di fronte a una pezza sporca». È vero che il nostro tempo non ha bisogno di maestri, ma di testimoni.