Il Mud, Milano University District davanti a Politecnico dal 20 al 22 marzo

Università. Un altro modo di scendere in piazza

Uno spazio di testimonianze, spettacoli e mostre davanti al Politecnico di Milano, creato dagli universitari di CL. Per chiedersi che cosa ci rende umani, nello studio, nel lavoro, nel dolore. Tre giorni di incontri e dialoghi inaspettati al Mud
Sofia Polini

«Uno studente del Politecnico passava di lì per caso e, incuriosito, si era fermato a leggere i pannelli. A metà mostra, mi dice: “Ma che bello! Ma chi ha fatto tutto questo? Che cos’è Comunione e Liberazione?”», racconta Chiara alla fine del Mud (Milano University District): tre giorni di mostre, incontri e serate, dal 20 al 22 marzo, organizzato da alcuni studenti di CL del Politecnico e dell’Università Statale in Piazza Leonardo da Vinci, a Milano. «Non pensavo che ci potessero essere dei ragazzi che si pongono queste domande e che cercano anche una risposta», dicono ad Alberto degli inaspettati visitatori alla fine della sua spiegazione di una delle mostre. Ma quali domande?

Sofia, Ingegneria gestionale, racconta: «Quasi un anno fa, provocati da quello che stava accadendo nel mondo - guerre, femminicidi e altre notizie drammatiche - con alcuni amici abbiamo iniziato a interrogarci: “Cos’è l’uomo? Come si può stare davanti a queste circostanze? Cosa rende davvero umani noi, anche nella quotidianità dello studio?”. Domande preziose, tanto che è nato il desiderio di condividerle con tutti attraverso un evento pubblico». Proprio da queste domande è nato il titolo dell’evento - “Cosa rende l’uomo uomo?” - che si è declinato nelle tre mostre con a tema lo studio, il lavoro e la sofferenza.



La prima esposizione, “Studiare è fare un uomo”, ha attinto ad alcuni scritti tratti da un incontro di Mariella Carlotti, insegnante, Io studio, per cosa? e dal libro di Marco Bersanelli, astrofisico, Solo lo stupore conosce, accompagnati da riflessioni di grandi uomini che si sono interrogati sul valore della conoscenza, da Einstein a Leopardi, da Enrico Fermi e Van Gogh, da don Giussani a Benedetto XVI. La seconda, “Tra un po’ non avrai più vent’anni e la vita diventa un mestiere”, ha ripercorso la vicenda umana e lavorativa di tre grandi imprenditori cattolici che hanno avuto come centro d’interesse la persona: Francois Michelin, Vittorio Tadei e Michele Ferrero. Infine, “Una strada nella vita”, nata dalle domande sul senso della sofferenza emerse nella lettura di La Strada di Cormac McCarthy.

Quasi trecento ragazzi si sono coinvolti nell’organizzazione e nella spiegazione delle mostre, avendo così l’opportunità di riscoprire per sé e testimoniare in tanti incontri la bellezza della vita che sgorga dalla nostra compagnia. Sofia racconta che, alla fine della sua esposizione su McCarthy, un ragazzo le ha detto: «Grazie, perché le tue parole sono state davvero piene, non hai cercato di convincermi, ma si vedeva che venivano dal tuo cuore. Spesso anche io ho bisogno di confrontarmi, ho tante domande sulla vita, ma spesso mi scontro con una realtà molto superficiale, che non si interroga su tutto questo».

Virginia, illustrando la mostra sullo studio viene avvicinata timidamente da una ragazza, Carlotta, che le dice di essere grata che si possa parlare anche delle difficoltà perché lei ha sofferto molto l’ansia da esami. Le mostre diventano occasione di incontro con chiunque, anche con i professori. Uno di questi, fermandosi a discutere con i curatori della mostra su McCarthy, chiede: «Ma secondo voi esiste davvero un amore tanto grande che non sia possesso dell’altro?». Paolo racconta di un’amicizia inaspettata nata con un docente, fino a qualche minuto prima sconosciuto. Il professore gli spiega che tiene un corso sull’intelligenza artificiale e domanda: «Ma vi rendete conto che vi state chiedendo cosa rende l’uomo uomo in un mondo in cui la macchina è ad un passo dal diventare paragonabile all’individuo?». Poi entra nei dettagli del suo corso: lui sta indagando quale ruolo ha l’uomo in un’industria che va verso un’automatizzazione fino ad ora inimmaginabile. Infine spiega perché li ha fermati: «Sono colpito dalle vostre domande, vorrei conoscervi, cenare assieme. Vorrei invitarvi ai miei seminari, mi piacerebbe sapere come giudicate le mie lezioni!».

Mud. La platea durante una serata

Alcune testimonianze pubbliche hanno approfondito le tre provocazioni suscitate dalle mostre: Marco Bersanelli e Caterina Pizio hanno raccontato del valore infinito che hanno per loro lo studio, la ricerca e l’insegnamento. Alberto Sportoletti, Ugo Comaschi e Giuseppe Mantovani hanno testimoniato di come, nel lavoro, è possibile diventare sempre più sé stessi; don Claudio Burgio ha mostrato una strada nel dolore dei ragazzi che accoglie presso la sua comunità di riabilitazione Kayros, Davide De Santis ha raccontato la nascita de La Mongolfiera, associazione che ha messo in piedi con alcuni amici e che sostiene le famiglie con figli disabili. Alcuni ragazzi dell’Università Statale, poi, hanno proposto una serata musicale e teatrale dal titolo “Cerco solo un sussurro in un mondo che grida” per dare voce alla grande domanda di senso emersa con prepotenza nei fatti drammatici accaduti nelle Università di Milano negli ultimi anni.

Sono numerose le persone che si sono fermate, anche per pochi minuti, a guardare le mostre o ad ascoltare le testimonianze: studenti, professori, corrieri di deliveroo, agenti della polizia. Racconta Maria: «Nel vedere un mio professore fermarsi per soli cinque minuti in piedi all’incontro di mercoledì non ho pensato: “Abbiamo fallito, quello che c’è qui non l’ha fatto rimanere”, ma: “Chissà questi cinque minuti che cosa hanno seminato in lui”. Quest’uomo probabilmente non lo incontrerò più. Vederlo andare via mi ha fatto però pensare: ora è un Altro che si prenderà cura di quel seme». Anche Alberto attraverso gli incontri si ritrova sempre più familiare uno struggimento discreto e gratuito, pieno di passione: «A un certo punto è arrivata una donna anziana con il figlio in sedia a rotelle. Visto il suo interesse alla mostra, mi sono proposto di spiegargliela. Alla fine mi ringrazia commossa, e io la invito a seguire l’incontro con Davide De Santis sulla Mongolfiera. Non so se alla fine sia venuta, però ho visto in lei accendersi una speranza proprio come è successo a me quando ho incontrato la compagnia del CLU». Aggiunge un altro episodio: «Un ragazzo che parlava solo inglese mi ha chiesto se pensavo che si potesse smettere di soffrire. Mi diceva che per lui l’unico modo è diventare apatici. Io allora attraverso la mostra gli ho risposto che tutto ciò che ho visto, stando insieme agli amici con cui abbiamo messo in piedi il Mud, mi fa dire che c’è qualcosa di indefinibile per cui io posso sperare, posso vivere con gratuità anche nella sofferenza. Lui ha continuato: “Dimmi in due frasi cos’è questa cosa”. E io: “Non so dirti cos’è, ma so che c’è, lo vedo in me, nei miei amici. Se vuoi capire cos’è puoi stare con noi”. Lui mi ha risposto che così è troppo complicato e mi ha salutato. Ho visto che è rimasto fino alla fine della serata. Mi è nato uno struggimento enorme per lui».



Caterina ha riscoperto come la missione coincida con una rinnovata gratitudine: «Sono al settimo anno di università. Speravo di poter finire un po’ prima, ma la vita mi ha chiesto altre fatiche a cui guardare oltre allo studio. Sarà forse per questo che gli ultimi esami li ho vissuti come una macchina senza chiedermi nulla, senza distrazioni e senza rapporti. Questa posizione mi ha completamente svuotato. Provo una grande gratitudine di aver deciso di spiegare la mostra sullo studio. Mi ha colpito vedere tanti ragazzi fermarsi, chiedermi, portare la loro famiglia o amici il giorno dopo, in questa curiosità c’è già dentro quell’umanità nascosta che grazie al Mud si è un po’ risvegliata». Chiacchierando con un musulmano di fronte al pannello di Leopardi con la domanda «Ed io che sono?», a un certo punto il ragazzo le spiega: «Vedi, la religione ti permette di chiederti chi sei». «Certo, per me anche attraverso la storia che ho incontrato ho avuto la grazia di aver degli amici che costantemente mi riportavano al punto», gli dice Caterina.

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Alcuni dei ragazzi sono dovuti restare nelle retrovie perché tutto funzionasse. Ma anche per loro, e grazie a loro, il Mud è stato un evento pieno di significato. Qualcuno ha contribuito alla realizzazione attraverso operazioni di bassa manovalanza come Giacomo: «Nei tre giorni del Mud, ho capito con molta più chiarezza la convenienza di “dare la vita per l'opera di un Altro”. Mi dicevo: “Ma chi me lo fa fare, ho già un sacco di impegni”. Poi ho deciso di dare la disponibilità di qualche ora per la pulizia della piazza. Ad un certo punto, venerdì sera durante il concerto finale ho girato per i tavoli dove c’era l’area ristoro per controllare che tutto fosse pulito e pronto per accogliere le persone. Servendo gli altri ero contentissimo, qualunque cosa mi venisse chiesta. L’ultima sera ho incontrato un’amica che non vedevo da tempo; dopo un po' le ho detto che andavo a pulire i bagni chimici. E lei: “Spero ti paghino bene!” ed io: “No, in realtà”, strabiliata ha commentato: “Mi spiace, ti sei fatto fregare”. A quel punto le ho detto: “In realtà sono contentissimo, non cambierei questa cosa con niente al mondo”. In ogni cosa che facevo desideravo che gli altri potessero assaporare quella stessa grandezza che mi ha cambiato la vita».