Giovanni Bellini, "Compianto" (particolare), 1475 ca, Musei Vaticani

Bellini e l’arte di oggi. Abitare il dolore

Una mostra al Museo diocesano di Milano mette in dialogo quattro artisti contemporanei, ognuno con il proprio linguaggio, davanti al "Compianto" dipinto dal pittore veneto nel XV secolo
Luca Fiore

«Uomo di meditazioni instancabili, mai pago di evocare l’antico, d’intendere il nuovo e di provarli, egli fu tutto quel che si dice: prima bizantino e gotico, poi mantegnesco e padovano, poi sulle tracce di Piero e di Antonello, in ultimo fin giorgionesco; eppure sempre lui, caldo sangue, alito accorato, accordo pieno e profondo tra l’uomo, le orme dell’uomo fattosi storia, e il manto della natura». Questo il ritratto che Roberto Longhi, venerato patriarca degli storici dell’arte italiani, fa di Giovanni Bellini. Sono anche le parole che Nadia Righi, direttrice del Museo diocesano Carlo Maria Martini di Milano, ha scelto per introdurre la mostra costruita attorno a Compianto del pittore veneto, proveniente dai Musei Vaticani. Bellini è stato capace di essere tutto ciò che il suo tempo gli ha chiesto di essere. Non ha mai mancato un appuntamento con la contemporaneità. Diciamolo pure - anche perché è Longhi che lo fa intendere -: è stato un artista che ha cavalcato le mode. Un pittore mainstream. «Eppure sempre lui», capace di una fedeltà con il proprio dettato, capace di non perdersi tra le onde della tempesta del presente. Come se si potesse cambiare di continuo e, allo stesso tempo, rimanere se stessi. È un tipo tutto particolare di genio. C’è anche chi, viceversa, in modo altrettanto sublime, riesce a restare imperturbabile baluardo che sfida il presente con la fedeltà al passato. Nessuna delle due vie garantisce, a priori, la garanzia di non perdere se stessi.

È forse questa la chiave giusta per entrare nella logica della mostra al Diocesano. Da una parte, la riproposizione di un capolavoro indiscutibile del nostro passato. Dall’altra, l’invito a quattro artisti contemporanei - LETIA Letizia Cariello, Emma Ciceri, Francesco De Grandi e Andrea Mastrovito - di confrontarsi con esso attraverso il proprio linguaggio, cioè con forme anche completamente diverse. Questo costringe ad entrare nell’animo più profondo dell’opera di Bellini: una responsabilità che passa dagli artisti ai visitatori. Non dunque la “maniera” scelta al pittore del Cinquecento per raccontare un episodio frequentatissimo dall’iconografia cristiana (poteva essere bizantino e gotico, mantegnesco e veneto o anche giorgionesco, poco importa), ma piuttosto l’impronta inconfondibile della sua mano, della sua intelligenza e della sua sensibilità.

Giovanni Bellini, ''Compianto'', 1475 ca, Musei Vaticani

Il cosiddetto Compianto dei Musei Vaticani è una tavola di medie dimensioni (107×84 cm), che rappresenta il corpo morto di Gesù, sostenuto da Giuseppe d’Arimatea, le cui mani si intrecciano con quelle della Maddalena. Partecipa alla scena anche Nicodemo, che ha in mano il vasetto con i preziosi oli profumati. Alle loro spalle, un po’ a dispetto del “buio” che si fece quel giorno su tutta la terra, si staglia un cielo azzurro attraversato da nuvole bianche. L’opera costituiva la cimasa della monumentale pala della chiesa di San Francesco a Pesaro, dipinta attorno al 1475, oggi conservata nei Musei civici della città marchigiana, che rappresenta l’Incoronazione della Vergine. Il fulcro dell’opera dei Musei vaticani è certamente l’incontro tenerissimo tra le mani di Gesù e quelle della Maddalena, immagine di un intreccio affettivo. Un gesto silenzioso dentro il quale si consuma il dramma di una perdita e, al contempo, la necessità umana della cura.



È su questo snodo che gli artisti contemporanei scelti da Casa Testori si sono concentrati. Intreccio è quello dei fili rossi dell’opera di LETIA Letizia Cariello (Per te Myriam di Migdel), che si agganciano a chiodi di ferro andando a ridisegnare le linee di forza della composizione belliniana. Se la parte superiore dell’opera, a forma di ogiva, richiama l’idea di cimasa della pala di Pesaro, quella inferiore mette in scena la volontà dell’artista di porsi in prima persona davanti al mistero rappresentato dal capolavoro del passato: da un quadrato di metallo specchiante fuoriesce un gancio sul quale è appesa una treccia fatta di capelli dell’artista.

Andrea Mastrovito, invece, realizza un grande disegno - War Christ - che riprende una foto di cronaca: il momento in cui il crocifisso della cattedrale dell’Assunzione di Leopoli viene messo in sicurezza dopo l’inizio dei bombardamenti russi sulla città ucraina. Cinque uomini sorreggono il corpo ligneo con le braccia spalancate, in un gesto di cura simile a quello dei discepoli di Gesù. L’opera, realizzata a matita e sanguigna con la tecnica del frottage e del collage, colloca il tema del compianto nel bel mezzo del furore della cronaca contemporanea.

Il pittore palermitano Francesco De Grandi sceglie invece la via diretta di confronto, proponendo un quadro ad olio su tela, il cui titolo è proprio Compianto al Cristo morto. Rappresenta un cadavere coperto da un sudario, trasportato da un carro tirato da un ronzino. A fianco un ragazzo che fa oscillare un turibolo acceso e una donna avvolta in un manto azzurro che si copre il volto con le mani. Sullo sfondo, un cielo notturno in cui convivono nuvole grigie e stelle lontane.

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Ma è forse il video di Emma Ciceri che affonda più di tutte nelle ragioni di Giovanni Bellini. L’artista mette in scena se stessa e il proprio rapporto con la figlia gravemente disabile. L’inquadratura mostra le mani intrecciate della madre a quelle della figlia. I movimenti sono lievissimi. Delicati. Carezze quasi impercettibili. Il dramma è soltanto suggerito, ma reale e mostrato nella concretezza. Quello della bambina è un corpo ferito, di cui la madre si prende cura innanzitutto con il contatto fisico. Un’affezione tattile. Una comunicazione che non ha bisogno di parole. La possibilità di abitare il dolore, affermando la vita per il miracolo della sua presenza.