Duccio di Buoninsegna (1260 ca.-1318), Maestà (cimasa), "Apparizione agli apostoli a porte chiuse", particolare.

In mezzo ai suoi

Gesù irrompe nel locale chiuso vincendo la paura degli apostoli: così Duccio di Buoninsegna raffigura il Risorto. Dalla “Maestà” del Duomo di Siena, il Volantone di Pasqua di CL (Da "Tracce" di marzo)
Alessandro Rovetta

Il 9 ottobre 1308, l’Opera del Duomo di Siena incaricava Duccio di Buoninsegna di realizzare la pala per l’altare maggiore della cattedrale, nota come la Maestà. Più anticamente, il termine designava la raffigurazione di Cristo in trono (Maiestas Domini), ma nel Duecento l’intensificarsi della devozione mariana aveva fatto salire la Madonna col Bambino agli onori del trono regale. Il contratto che l’Opera aveva sottoposto a Duccio era piuttosto vincolante: il compenso era previsto a salario e non a riscontro del valore dell’opera, i materiali li avrebbe pagati direttamente la fabbrica, il pittore non avrebbe potuto prendersi altri impegni fino alla consegna definitiva della pala. Erano richieste consuete per i contratti con gli artisti, ma qui si avverte l’eco dei dissidi con Giovanni Pisano, il più grande scultore del tempo, che solo dieci anni prima aveva improvvisamente lasciato il cantiere della facciata per presunti ritardi e inadempienze. Meglio tutelarsi, visto che ci si accingeva a dar figura al cuore pulsante della cattedrale e della città.

Duccio aveva all’incirca 60 anni. Anni carichi di esperienza e di fama, vissuti nel solco della tradizione bizantina, ma con l’occhio sempre vigile e ricettivo sui protagonisti del suo tempo: prima Cimabue, col quale ebbe un dialogo più serrato e duraturo, e poi Giotto. Quest’ultimo aveva da poco smontato i ponteggi padovani della Cappella degli Scrovegni, dove aveva dispiegato un racconto visivo capace di rivoluzionare, non solo in pittura, le forme di memoria e di immedesimazione nell’avvenimento cristiano. Anche la pala del Duomo senese prevedeva, a corredo della Maestà, le storie della Vergine e di Gesù: Duccio le avrebbe dipinte alla “senese” innestando su quella tradizione, già resa quanto mai personale, tutte le aperture recepite da altri maestri e contesti. Era quanto si aspettavano committenti e concittadini: riconoscere la propria storia e la propria vocazione nella pala che avrebbe campeggiato al centro del Duomo.

Duccio di Buoninsegna (1260 ca.-1318), Maestà (cimasa), ''Apparizione agli apostoli a porte chiuse''. Museo dell’Opera Metropolitana, Siena, Italia. Foto: Opera Metropolitana Siena/Scala, Firenze

Dopo tre anni di lavoro, le attese trovarono pieno riscontro. Il 9 giugno 1311, tutta Siena - in capo il Vescovo con le maggiori autorità del governo, di seguito tutti i cittadini e uno stuolo di bambini in coda - accompagnò la grande pala dalla bottega dell’artista fino alla cattedrale, passando ovviamente per il Campo, con tutte le botteghe a serrande abbassate per divotione. Una devozione festante, allietata da «trombatori e ciaramella e nacchere del Comune». Il valore civico della Maestà era dichiarato nell’iscrizione che si legge sul basamento del trono della Madonna: «Santa Madre di Dio, sii ragione di pace per Siena, sii vita per Duccio, perché così ti dipinse».

La Maestà di Duccio, dipinta su entrambi i lati, ha dimensioni inusitate: poco meno di cinque metri in larghezza e in altezza, compreso il coronamento delle cuspidi. Il lato rivolto al popolo dispone a tutto campo la Madonna in trono col Bambino - la Maestà, appunto - accompagnata da una «imponente e dolce accolta di angeli e santi» (Luciano Bellosi). La inquadrano, sopra e sotto, episodi della vita della Vergine. Il lato rivolto verso il clero presenta il racconto evangelico, dalle Tentazioni alla Pentecoste, e si distende in una fitta sequenza di tavole istoriate. Al centro, più grande, è la Crocifissione. Due secoli dopo la sua trionfale salita all’altare maggiore, la Maestà lasciò il posto ad altri arredi e venne messa a parete, sempre nel Duomo. Seguì una storia di spostamenti e di ritagli, che dispersero molti pannelli: alcuni finiti in musei di tutto il mondo, altri non più rintracciati. La tavola principale e altre minori sono rimaste a Siena e sono oggi esposte nel Museo dell’Opera. Tra esse, l’Apparizione agli apostoli a porte chiuse.

L’Apparizione occupava la prima cuspide di sinistra del lato posteriore. Una collocazione sommitale e di apertura. Qui inizia l’ultima sequenza narrativa della pala che, lungo tutto il coronamento della pala, tiene come filo rosso la relazione tra Cristo e gli apostoli nei giorni che vanno dalla Risurrezione alla Pentecoste. Ovvero quella sequenza di fatti in cui la presenza in terra del Risorto si è saldata inscindibilmente con l’inizio della vita della Chiesa. L’avvio di questo racconto trova nell’Apparizione una particolare solennità iconica, di eredità bizantina. Ma Duccio riesce comunque a combinare il registro simbolico con quello narrativo, per cui Mistero e realtà si riscontrano in una infinità di sorprendenti sfumature. Secondo il vangelo di Giovanni, sul finire del giorno della Resurrezione, Cristo apparve agli apostoli in un luogo - tradizionalmente identificato nel cenacolo - tenuto a porte chiuse «per paura dei Giudei».

Il dipinto segue con precisione il dettato evangelico: «Gesù venne e si fermò in mezzo a loro». L’incedere di Cristo, subito sospeso, si coglie nel leggero aggetto della gamba destra, che muove il mantello e scorcia l’appoggio dei piedi. La figura si erge frontale, avvolta in fitte lumeggiature d’oro tracciate in punta di pennello sul rosso e sul blu delle vesti, così che la luce della Resurrezione possa risplendere sul sangue e sull’acqua sgorgati dal costato di Cristo. La relazione compositiva tra il Risorto e la porta sbarrata alle sue spalle è l’asse centrale su cui si innesta lo sviluppo simbolico e narrativo dell’episodio. Non è la porta di un edificio qualsiasi, nemmeno quella del cenacolo raffigurato nelle scene precedenti. È la porta di un tempio, quasi un arco trionfale, con superfici marmoree e raffinati dettagli classici, che si sviluppa ai lati in due avancorpi, anch’essi a porte chiuse. Su di essi si impostano i salienti di una copertura lignea di cui purtroppo si è perso il vertice.

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È comunque evidente che il luogo dell’Apparizione non è una stanza chiusa, dove gli apostoli si erano rifugiati per una paura che possiamo assimilare a quel «senso di sconfitta» di cui parla papa Francesco. È una costruzione nuova, che lascia alle spalle quelle porte sbarrate, che gravano come «la pietra dei sepolcri in cui spesso confiniamo la speranza». È il tempio nuovo che si spalanca davanti a noi «perché Cristo è risorto e ha cambiato la direzione della storia». Due secoli prima, Suger, abate di Saint Denis, aveva scritto che la porta della cattedrale è simbolo di Cristo, perché Cristo è la vera porta: Christus ianua vera. Duccio ribadisce lo stesso concetto trasfigurando un luogo sbarrato dalla paura in un tempio che si proietta sul nuovo corso della storia. Cristo «risorgendo investe la storia irresistibilmente, attraendo a sé gente, la cui unità costituisce il Suo Corpo, Corpo misterioso, o popolo di Dio» (don Giussani).

È l’inizio della Chiesa. Ed è quanto ci descrive Duccio passando dal registro simbolico dell’architettura di fondo a quello narrativo delle figure in primo piano. Gesù viene “in mezzo” ai suoi che si tendono tutti verso di Lui, irresistibilmente attratti dalla sua inaspettata presenza. Una presenza che nello splendore divino della Resurrezione continua a essere incredibilmente umana. Gesù non tiene lo sguardo fisso davanti a sé in una dimensione trascendente. Cerca subito i suoi discepoli volgendo gli occhi al gruppo alla sua sinistra, dove si riconosce Giovanni, il giovane prediletto. Anche il corpo sembra spostarsi leggermente nella stessa direzione liberandosi dalla rigida centralità della porta alle spalle. Da questi minimi accenni gli apostoli riconoscono che è Lui, vivo, col suo corpo, ancora segnato dalle ferite della croce.

Questo gruppo si mantiene più distante, come sospeso dall’intensità dello sguardo che li interpella. Gli apostoli di sinistra, con Pietro speculare a Giovanni, sembrano meno in soggezione - il Maestro sta guardando gli altri - e più decisi nell’accostarsi a Cristo. Possiamo immaginare il disordine e la confusione che, solo qualche istante prima, dominava questo drappello di uomini soggiogati dalla paura e dallo sconforto. Apparendo loro, Cristo ha riportato ordine, chiarezza e una rinnovata sorprendente attrattiva. Duccio la raffigura animando con cenni discreti di vibrante umanità l’iconica presenza del Risorto al centro della compagine apostolica e sullo sfondo del nuovo tempio. Figura di quella pace che Cristo annuncia ai suoi e che Siena chiede alla sua Maestà.