In gita durante una vacanza di GS

Vacanze GS. Quando in gioco c'è l'umanità

Professori e studenti di Gioventù Studentesca alle prese con le convivenze estive in tante comunità italiane. Da Como, Chiavari e Cesena, altre lettere che raccontano quello che è successo

«È Lui che ti viene incontro»
Ho aspettato molto questa vacanzina per due motivi: primo, perché la vedevo come uno tra i pochi modi per il nostro gruppo di amici di stare di nuovo tutti insieme, dato che ultimamente ci stavamo perdendo un po’ di vista. La seconda ragione invece era perché speravo di trovare consigli, parole, fatti che potessero accompagnarmi nel periodo che sarebbe seguito. Quindi ero molto felice, ma temevo che le mie aspettative (recuperare i rapporti e trovare qualcosa di utile a me) non venissero raggiunte.
Questa paura si è concretizzata nei primi due giorni perché quello che desideravo non stava accadendo: non riuscivo a stupirmi di nulla e “l’obiettivo amicizia” non stava andando molto bene. L’arrabbiatura è aumentata nei momenti delle riprese: gli altri erano sempre colpiti da qualche fatto o frase, invece io no. Proprio io, che avevo questo desiderio sin da prima della vacanza. Quando hanno cantato La preferenza, lì per lì l’ho cantata anch’io, poi in camera ripensandoci mi sono arrabbiata: non credevo in quel momento di essere preferita perché il mio desiderio non veniva esaudito.
Poi, durante lo spettacolo teatrale, mi è rimasta impressa questa frase: «È Lui che ti viene incontro, tu devi tenere aperti gli occhi». Da quel momento ho cercato di lasciare il cuore aperto come due braccia spalancate che aspettano solo qualcosa da abbracciare. Questa cosa ha stravolto tutto. Alla sera, durante l’incontro con lui e due ragazze della Romagna alluvionata, don Leo ha detto: «La miseria sono le maschere che ti metti davanti perché non hai il coraggio di far vedere chi sei, di affrontare la realtà». Ho riconosciuto in quel momento di essere davvero misera perché non riesco a staccarmi dalle maschere che porto per paura che essere davvero me stessa possa non piacere. Comunque, come mi ha fatto notare un’amica, finalmente qualcosa in me si stava muovendo.
La cosa che più mi ha colpito è stato il momento di dialogo, quasi del tutto casuale, che con altre amiche abbiamo avuto con don Alvise. Ci ha chiesto cosa fosse per noi l’impossibile, e che cosa volesse dire essere cristiani ed essere felici. A un certo punto ci ha domandato a cosa serviamo noi, se siamo utili a qualche cosa. Mi ha spiazzato: è da tanto tempo che mi interrogo su questa questione perché, soprattutto nell’ultimo periodo, ho iniziato a pensare di non servire a nulla, anzi che la mia presenza possa peggiorare la situazione. Don Alvise ha risposto con questa metafora: un fiore in un prato serve a renderlo più bello, e se quel singolo e specifico fiore non ci fosse, al prato mancherebbe qualcosa. E quel fiore è stato messo lì apposta, è stato voluto da Qualcuno. A differenza dei giorni iniziali, mi sono sentita preferita, proprio perché ho capito che Qualcuno mi ha voluto come sono, per rendere bello quel prato che, se non ci fossi, non sarebbe così.
La sera fuori dal tendone ci siamo messi a cantare. Jovanotti, Max Pezzali, Cremonini e altri. Poi La notte che ho visto le stelle di Chieffo. Pensavo fosse l’ultima, invece no. L’ultima è stata La strada che è la mia canzone preferita di Chieffo. Dall’inizio della vacanzina aspettavo che venisse cantata. Ho detto tra me: «Non è un caso, è un segno». Mi sono sentita appagata e ancora di più preferita. Per la prima volta ho capito davvero cosa voglia dire la parola gratitudine, ero totalmente grata per quello che ho avuto davanti. E ora, a casa, mi resta una domanda: come mantenere questa gratitudine per le cose che mi accadono anche nella vita di tutti i giorni?
Lara, Chiavari (Genova)

«Il bisogno più profondo che ho»
La cosa per me più evidente alla vacanzina è aver fatto esperienza concreta della «nube di testimoni» di cui ci ha parlato padre Lepori agli esercizi. Dovrei elencare un sacco di persone che mi hanno attorniato rendendo «visibile l’invisibile presenza di Dio» in quei cinque giorni. Mi limito a tre fatti.
Più volte (a tavola, in passeggiata, durante i giochi...) mi sono sentito dire da adulti di altre comunità: «Vi guardiamo (riferito agli adulti e ai ragazzi di Como, ndr) e ci colpisce molto come vi muovete insieme». In realtà è stato un guardarci a vicenda. Anche io mi sono sorpreso più volte a guardare gli altri superando - inaspettatamente senza alcuna fatica - la superficie delle cose e riconoscendo che era più congruente a me «ascoltare», «obbedire» e «seguire». Tutto questo ben prima che s’iniziasse ufficialmente la vacanzina, ma già durante la preparazione collegati a distanza.
In questa nube, i volti non si sono confusi in modo indistinto. Penso alle testimonianze di Felice, Leonida, don Leo, Lorenzo, Francesco, Paolo... O alla cena durante la quale Benedetta ha messo il suo cuore sul tavolo parlandoci del suo percorso di fede; o con Matteo davanti a una birra, quando ci siamo scambiati giudizi interessanti sull’emergenza educativa; o ancora la chiacchierata con Gianluca sul valore del canto e sulle esperienze reciproche nel coro.
Da ultimo, come non ricordare i ragazzi durante le riprese o l’assemblea, ma anche mettendo in gioco la loro umanità nelle varie proposte a cui hanno aderito. Ancora una volta mi hanno ridestato il bisogno più profondo che ho, il desiderio di essere felice, e che senza questa compagnia il destino è quello di accontentarsi e di imborghesirsi. La gratitudine che mi ha investito me la sono portata a casa da mia moglie e dai miei figli.
Nicola, Como

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Gli amici della gang
«Siate realisti, domandate l’impossibile». Se c’era una cosa che pensavo impossibile, era quella di passare il primo giorno di vacanza in ospedale, per accompagnare due ragazzi che si sono sentiti male nel viaggio. Mentre li aspettavo, nell’area del pronto soccorso ho sentito di tutto. Grida e lamenti continui provocati dal dolore fisico ma anche dal male di vivere. «Oggi viviamo e domani chissà», «vivo giorno per giorno fregandomene di tutto», “la vita fa schifo, ogni giorno c’è la sofferenza». Partito carico di idee, giochi, canzoni e desideri, mi sono ritrovato a chiedermi se fossi un illuso. Il dolore e la sofferenza sembravano la vera e unica realtà.
Nella cena al McDonald’s con un altro adulto e due “amici della gang” che mi avevano accompagnato, è iniziato un dialogo serrato e senza sconti sulla nostra vita. «Perché tanta angoscia anche da giovani?». «Perché i ragazzi fanno sciocchezze pensando di sentirsi meglio?». Mi sono sentito preso a schiaffoni. Che cosa vuol dire domandare l’impossibile in una realtà che sembra promettere soltanto sofferenza e dolore? La notte, mentre guidavo il pulmino per raggiungere gli altri amici e i miei alunni in Val d’Aosta, avevo questa grande domanda.
Il giorno dopo qualcosa si è mosso, una frase delle Lodi subito mi schianta e provoca: «Il Signore usa pazienza con voi, non volendo che alcuno perisca». Ecco cosa significava domandare quell’impossibile. C’è qualcuno che mi vuole così bene che non vuole che nessuno muoia. Desidero questo “impossibile”.
Comincio la vacanza cercando segni di questo, e quello che accade mi stupisce, sorprende e affascina. I giochi pensati per far partecipare tutti, le testimonianze, i canti e balli con un piccolo gruppo di “stanchi o doloranti” in un prato davanti a un bellissimo eremo, il Monte Bianco sullo sfondo, pranzi e cene a dialogare e ridere con i miei alunni. Una bellezza si svela non per dimenticare la realtà dolorosa, ma per cercarne il senso più profondo.
Nel dialogo con alcuni capisco che sta succedendo qualcosa anche a loro, soprattutto in chi, invitato al campo, non ha mai fatto parte di un’esperienza cristiana. «È stato un periodo difficile per me e ne sono uscita fuori relativamente da poco», ha raccontato una ragazza. «All’inizio non volevo nemmeno più partire per questa vacanza. Ero arrabbiata con Dio, molto arrabbiata, per motivi che forse nemmeno io stessa sapevo. Qui però ho capito che ho bisogno di tutto questo. Non solo dei giochi, delle canzoni e delle risate, ma anche di partecipare alla Messa o sentire testimonianze da chi forse ha capito più cose di me per esperienza. Ne ho bisogno, ne sento il bisogno perché questo mi fa riavvicinare a Dio e mi fa sentire in pace con Lui. Tornerò a casa diversa da come sono partita, non penso vedrò il mondo come prima e ogni cosa nella mia quotidianità mi sembrerà una cavolata in confronto a quello che ho visto qui. Torno con qualcosa in più, un qualcosa che probabilmente nemmeno io conosco ma di cui sento la presenza».
Un’altra ragazza: «Quest’anno, a differenza degli scorsi, mi sento di aver effettivamente *vissuto* il campo. Mi sono lasciata guidare non solo durante le passeggiate ma in generale durante le giornate. Ho riscoperto alcune persone che mi hanno dato il coraggio di essere me stessa senza vergogna (perché in fondo tutti noi siamo fatti bene) e con le quali resterò sicuramente in contatto. Per il mio carattere un po’ introverso non ho fatto molte amicizie nuove, ma è stato comunque stupendo vedere come persone che non avevo mai visto prima fossero disponibili a darmi un consiglio o aiutarmi in qualsiasi momento e modo!».
Un amico: «Prof, grazie ancora per tutto, benché non sappia molte preghiere mi è piaciuto molto il campo, e soprattutto gli incontri a cui ho assistito quando non ero stanco. Come sempre la natura si è dimostrata bellissima e spero che potremo rifare il tutto».
Un altro: «Credo che quest’esperienza sia stata molto bella per me. Le testimonianze mi hanno fatto capire che bisogna guardare la verità anche se dolorosa, ma vivere. Bisogna guardare le persone con profondità e vivere amicizie vere. In questi giorni ho incontrato tre amici di una stanza diversa e mi è sembrato bellissimo quello che ho vissuto con loro, mi hanno insegnato briscola, mi hanno fatto compagnia quando ero solo e abbiamo anche riflettuto sul perché a volte tocca sentire dolore. Non tutto va bene nella vita, non sempre si raggiungono i propri obiettivi, ma è importantissimo mantenere il sorriso per passare un po’ di gioia a chi ne ha poca. Spero di continuare a vedere questi amici come quelli che ho incontrato l’anno scorso e continuare a sentirli. Il dolore non se ne va, ma raccontare la verità a qualcuno ti farà stare meglio. Non c’è niente di più bello della verità. Prof, posso fare il giessino quest’anno?».
Un pomeriggio, sui divanetti dell’albergo, è iniziato un dialogo con quattro ragazzi che scrivono canzoni rap e trap. «Perché scrivete questi testi?», chiedo loro. «Per conoscere di più il mondo», «per raccontare di quel grido, di quella domanda che mi è cresciuta dentro dopo un grave incidente», «perché ho bisogno di raccontare quello che di bello e brutto mi accade». Il dialogo procede per più di un’ora con l’idea di rivedersi e andare a fondo di tutto e capire se fare una serata in cui leggere e ascoltare le canzoni che hanno scritto.
Domandare l’impossibile sembra ora tornare a casa con il desiderio che quello che è accaduto non si perda. È il desiderio più grande che ho avendo incontrato questi ragazzi, pieni di fragilità e dolore ma con domande grandi da condividere. L’avventura continua e il domandare senza censure è già il primo passo per essere veramente realisti. Che 330 ragazzi e adulti nella maggior parte sconosciuti potessero vivere cinque giorni insieme, sulla carta sembrava già impossibile. Eppure è accaduto molto più di quello che ognuno si aspettava. Se non è impossibile questo…
Domenico, Cesena