Cremona (Unsplash/Matteo Bellia)

«Cosa posso chiamare casa?»

La separazione dei genitori, il buio, la solitudine. Poi l'incontro con il Clu a Bologna e i nuovi amici a Cremona. E la scoperta di un luogo dove «essere me stesso senza paura»

Dopo la Giornata d’inizio anno, quando Davide Prosperi ha ricordato che l’esperienza di ciascuno è il luogo di verifica della proposta cristiana, non ho potuto non ripensare con gratitudine al mio incontro con il movimento. Io non conoscevo CL, prima di iniziare l’università.

Sono di Ferrara e nel 2014, al quarto anno di liceo, parto per un anno di studio in Nuova Zelanda. Là trascorro mesi molto belli, ma al rientro in Italia mi aspetta una brutta sorpresa: i miei genitori, mentre lasciamo l’aeroporto, mi comunicano di essersi separati e che mio padre sarebbe andato via. Non me lo aspettavo, non avevo intuito nulla, e da un giorno all’altro tutte le mie certezze si sono sgretolate. Mi sono sentito improvvisamente solo: ciò che fino a quel momento per me era “casa” non esisteva più. Questa è diventata una delle domande che da lì in poi, in maniera magari confusa, non mi ha più lasciato: ci sarà mai un luogo in cui potrò sentirmi a “casa”?

Il 2015, l’anno della maturità, è un disastro: non ho nessuno a cui appoggiarmi, perché fino a quel momento la mia roccia era stato il papà, che però si era trasferito a Bologna con la sua nuova compagna incinta. Cerco quindi la via più semplice: scappare. Evito di stare a casa con mia madre e mia sorella e trovo rifugio nelle canne. All’epoca avevo degli amici con cui tutte le sere mi trovavo a fumare, loro per strafarsi e io solo per non pensare al dolore. Alla mattina, però, quando mi svegliavo, il problema era sempre lì davanti al naso. Ancora più grande del giorno prima.

Dopo la maturità vado a studiare a Bologna, facoltà di Agraria. La scelta non è casuale: speravo di passare più tempo vicino al papà. Il mio obiettivo era stare tutti i giorni con lui. Non è andata così. Aveva appena avuto un bambino piccolo e giustamente le attenzioni erano tutte per lui. Ancora una volta ero solo. Ed è lì che è successo l’impensabile.

Il primo giorno di università incontro Michele, iniziamo a chiacchierare, e guardandolo in faccia penso: «Con questo qui potrò continuare a sballarmi come facevo a Ferrara». Invece no. Fin da subito vedo che lui è contento: è felice nello studio, a casa, con i suoi amici. Certo, non ha i genitori separati, ma non è quello, c’è qualcos’altro. Mi invita tutti i giorni a casa sua a studiare (io abitavo da solo) e così comincio a chiedermi come mai lui si gode la vita. Divento curioso. Michele non fa niente di eccezionale, ma mi come guarda come fa con gli amici di sempre, mi guarda per quello che sono e non come “il ragazzo problematico”. Le mie giornate diventano piene e alla sera, quando torno nel monolocale, sono felice perché ho passato la giornata con lui.

Solo che tutti i mercoledì, alle 18, Michele sparisce. «Ho un impegno», mi dice. Dopo qualche tempo gli chiedo dove va e lui mi parla per la prima volta della Scuola di comunità. Non mi fa lezioni o discorsoni: niente. E così decido di andare a vedere. Lì incontro dei ragazzi che condividono ogni istante della quotidianità, che parlano di Cristo - ne parlano apertamente, ma senza essere bigotti -, tutto viene vissuto senza menzogna e con grande libertà. Il monolocale inizia a diventarmi stretto. Desidero anch’io le “cene di appa”, i confronti, lo studio insieme, l’amicizia cristiana che hanno. E poco dopo mi trasferisco ad abitare con alcuni di loro. Finalmente ho degli amici veri, una morosa (santa), e la certezza di essere nel posto giusto.

Alla fine del terzo anno il Signore mi mette davanti a una “verifica” di quello che ho incontrato. Devo scegliere la laurea magistrale e i corsi a Bologna non mi convincono, mentre a Cremona ce n’è uno che sembra per me, e me lo consiglia la mia prof. Che fare? Io a Bologna mi sento a casa, mi sento abbracciato in tutto quello che sono. Lasciare tutta la bellezza incontrata fin lì, il Clu, la Frency e Michele, per andare in una città semi-sconosciuta è la scelta giusta? Me lo chiedo, ma se ciò che sto vivendo è vero, lo sarà ovunque. Qualcuno mi suggerisce di sentire Beppe, un cremonese in gamba che potrebbe darmi qualche dritta. Non lo conosco ma lo chiamo. Quando, tra le altre cose, gli domando come fare visto che il Clu a Cremona non esiste, lui mi risponde: «Ma come non esiste? Ci sei tu!». E per due mesi mi ospiterà a casa sua, con la sua famiglia.

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Ed è stato così un nuovo inizio, con tanti amici, spesso più grandi di me e giovani famiglie: anche a Cremona ho potuto toccare con mano l’intensità di vita che c’era a Bologna. Il Clu, piccolo o grande che sia, è stato per me lo strumento per verificare e giudicare ogni giorno il cammino di fede che faccio. Giudicarlo, perché io voglio essere felice e ogni sera vado a letto chiedendomi: «È valsa la pena alzarsi stamattina?». Posso solo dire: grazie, perché ho una compagnia che mi ricorda che tutto è donato dal buon Dio, perché il movimento per me è un luogo dove essere me stesso anche quando ho paura. Ho imparato che essere attaccato alla realtà, ai miei amici, è l’unico modo che ho per non perdermi e scoprire cosa ci sto a fare a ‘sto mondo. La realtà è cruda, a volte, però quello che la rende interessante è il modo con cui ci stiamo di fronte e con chi la viviamo. Io oggi mi sento a casa, perché so di essere voluto bene e di avere una strada. Casa è dove si è voluti bene.
Giovanni, Cremona