La skyline di Tokyo (Foto: Freemann Zhou/Unplash)

Giappone. «Non più fortuna o sfortuna»

Marco vive da 8 anni lontano da l'Italia. Un lavoro con molte incertezze e traguardi serrati. Che mettono a rischio salute e equilibrio familiare. Nonostante si trovi a "casa" nella nuova comunità di CL, qualcosa non torna. Una testimonianza da Tokyo

Quest’estate ho avuto la fortuna di partecipare all’Assemblea Internazionale a La Thuile, ed è stato come capire quello che mi è successo negli ultimi tre anni, attraverso sguardi di amici che conoscevo da tempo ma che avevano un sapore diverso, nuovo e più vero. Il periodo del Covid è stato per certi versi una benedizione per la nostra comunità di Tokyo, a cui appartengo dal 2015, soprattutto per i rapporti con gli amici che mi sono stati dati. In questo periodo, ognuno di noi è stato costretto dalle circostanze a guardarsi dentro in modo diverso, più vero e profondo, domandando quello che veramente cercava e di cui aveva bisogno. Ci siamo riconosciuti come una famiglia, una nuova famiglia fatta di italiani e giapponesi, tutte persone che avevano la mia stessa domanda del cuore, nonostante provenissero da un contesto culturale e sociale completamente diverso. Essere in mezzo a persone che hanno la nostra stessa domanda avendo avuto esperienze culturali ed educative così diverse è già un richiamo enorme, che spiazza.

Se questi anni, però, da un lato hanno aumentato la mia autocoscienza e la mia fede, dall’altro sono stati impegnativi, soprattutto per le incertezze lavorative. Vivere all’estero e lavorare per un’azienda italiana con traguardi economici trimestrali serrati ha delle incertezze che la pandemia ha evidentemente amplificato. Ho capito che la fede, come la immaginavo io, era solo un concetto, un pensiero che non era poi vissuto nel quotidiano. Quello che ci dicevamo alla Scuola di comunità non aveva poi un’applicazione nella mia vita reale. Mi sentivo sdoppiato: da una parte l’io generato da un incontro nuovo, dall’altra l’io che ce la deve fare da solo, come tutti, contando solo sulle sue forze. Non facevo esperienza della fede. Ho capito allora che la fede cristiana matura veramente solo di fronte ai fatti e attraverso essi, non a prescindere da essi. C’è un rapporto solido, bidirezionale tra fede ed esperienza, si alimentano a vicenda, dove la fede è un punto di partenza ma anche di arrivo, che riscrive tutto quello che è accaduto prima. Se non è così, se la fede non è vissuta nell’esperienza, allora è solo un concetto filosofico, che stanca presto.

Giudicavo quindi la mia vita confrontandola con il mio misero schema umano e tutto era fortuna o sfortuna, un continuo sforzo di indirizzare i fatti verso il mio disegno, ma non occasione per riconoscere Cristo nella mia vita. Era diventato faticoso, la mia salute a rischio e la mia famiglia sotto pressione. Ecco allora, che arrivo a La Thuile con una domanda precisa a Cristo, di aiutarmi a vivere la mia vita in modo che tutto sia occasione per incontrarLo. Non più fortuna o sfortuna, non più vivere sperando che qualcosa non accada perché se no sarà una tragedia, non più il mio schema, ma amare veramente la realtà affermando ciò che ho di fronte, anche quello che mi viene proposto dai miei colleghi o quello che non avevo previsto. E all’improvviso mi ritrovo essere paziente, ma allo stesso tempo forte e fedele. E ho scoperto due belle cose. La prima, che se chiedi col cuore, Cristo ti risponde. A La Thuile ad ogni pranzo, ad ogni incontro ho conosciuto persone che mi parlavano come se conoscessero la mia situazione da anni, che rispondevano a domande che avevo dentro in quel momento, che mi davano numeri di telefono di persone da chiamare, mai conosciute ma che erano lì per me. Questo è il dono della Chiesa, una comunità di persone che riconoscono lo stesso Destino e ci educa ad uno sguardo nuovo. Non io da solo, ma io in una comunità, mentre la società odierna ci dice che dobbiamo farcela da soli.

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La seconda, forse la più bella, che Cristo non si nega a chi sbaglia, ma a chi non Lo riconosce nella vita di tutti i giorni. Solo nell’esperienza cristiana si può essere amati così, guardati con questo sguardo e liberati dai nostri fardelli. Posso aver sbagliato, ma Cristo ha preso anche me, là dove ero, nella mia pochezza, con i miei errori, ha aspettato il mio “sì” per creare la sua Chiesa, e il mio cuore ora scoppia dalla gioia.

Marco, Tokyo