La mostra su Rosario Livatino allestita nel Palazzo di Giustizia di Genova

Genova. Testimoni credibili, come Livatino

La mostra sul giudice beato allestita nel Palazzo di Giustizia del capoluogo ligure. In due lettere, il successo di oltre tremila visite e «lo spettacolo umano di cui siamo stati parte»

L’idea è stata di Maurizio, che ha lavorato per più di vent’anni come funzionario tecnico a Palazzo di Giustizia a Genova: offrire ad alcuni giudici ed avvocati la mostra “Sub tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino” cercando di condividere con loro la straordinaria esemplarità di questo giovane magistrato, vissuta in una normalità apparentemente modesta e ordinaria. Si è formata una rete di associazioni di diversa ispirazione (Associazione Nazionale Magistrati, Giuristi Cattolici, LAF, Centro studi Livatino, Centro Culturale Charles Péguy), con la collaborazione decisiva della Presidente della Corte d’Appello. In particolare, il contributo del Centro culturale è stato utile ad aprire la mostra alla città e alle scuole, favorendo la promozione di un corso di formazione per 95 giovani che sono diventati guide dei loro compagni: quasi duemila studenti che si sono sommati a diverse centinaia di altri visitatori che hanno ripercorso con vivo interesse i momenti della vita e delle scelte del giudice di Agrigento. I visitatori raggiungevano la mostra percorrendo il cortile in cui è collocato il tendone del processo per il crollo del Ponte Morandi, che in qualche modo appare come un luogo simbolico per la nostra città e induce a una domanda sulla giustizia. E la riflessione sulla giustizia e sul suo esercizio è stato tema per due settimane nell’atrio della Corte d’Assise, e ha permesso «di riflettere su ciò che facciamo e sull’obiettivo di ciò che facciamo», come ha sottolineato il Presidente della sezione ligure dell’ANM, al momento dell’inaugurazione, commentando i saluti non solo formali di molti intervenuti, che si sono confrontati con la persona di Rosario Livatino. L’Arcivescovo monsignor Marco Tasca ha detto di essere stato colpito dalla frase di Livatino ai suoi assassini: «“Picciotti che cosa vi ho fatto?” che sembra quasi riecheggiare la frase di Gesù a chi lo schiaffeggiava: Livatino si assimila così al desiderio di dare all’altro una possibilità per entrare in se stessi e fare luce in sé. Figure come Livatino sono occasioni che, in un momento difficile, il Signore ci dona per riflettere su di noi».
«Bravissimi i ragazzi! E lo dice chi ha lavorato con Livatino dal 1988 al 1990 (fino alla sua morte)» ha scritto Nicoletta Guerrero, Presidente del Gip di Genova nel registro della mostra. Massimo ha raccontato che i colleghi avvocati sono rimasti colpiti di quanto l’esperienza di Livatino fosse utile e di aiuto alla professione. Alcuni hanno detto che con la sua testimonianza la distanza, che a volte sembra abissale, tra avvocati e magistrati si accorcia perché si scopre un terreno comune di esperienza, dove è possibile lavorare e guardarsi in faccia, senza timori e preclusioni. Un dialogo vero. E certamente l’impegno e la passione dei ragazzi è stato frutto anche del lavoro prezioso dei docenti degli otto istituti che li hanno seguiti e accompagnati nella preparazione e degli adulti volontari che con cordiale impegno hanno supportato le giornate in cui si è svolta l’esposizione. Qualche visitatore ha detto di aver scoperto la storia di Livatino proprio attraverso la mostra. Altri si sono stupiti dell’unità della sua persona, dimostrata tragicamente dall’odio dei mafiosi che vollero uccidere in lui il giudice, quindi l’uomo dello Stato che perseguiva la legge, e contemporaneamente il “santocchio” cioè l’uomo di fede che non si sottometteva a compromessi di coscienza, libero perché affidato a Dio. Tante persone di ogni età si sono riconosciute nella crisi che colse Livatino nei primi anni di magistratura, di fronte a una realtà apparentemente arida, lontana dai sogni che lo avevano accompagnato nel suo impegno negli studi di giurisprudenza e per superare il concorso. Andare a fondo del suo percorso di fede, lo fece andare a fondo nella sua responsabilità civile e professionale. Per noi che abbiamo lavorato insieme è stato un modo per riscoprire che questo percorso è, oggi, per noi e per tutti.
Mario, Genova

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L’occasione della mostra del Meeting “Sub tutela Dei: il giudice Livatino” ci ha interpellato immediatamente e con alcuni amici abbiamo aderito a un PCTO (ex alternanza scuola-lavoro) perché i ragazzi delle scuole genovesi potessero essere guide all’esposizione, in un contesto di certo non banale. Nel mio liceo si è costituito un gruppo di venti ragazzi, che mai avevano visto presentare una mostra, che non conoscevano la figura di Rosario Livatino, ma che, più o meno in rapporto con me, hanno deciso di partire, per un fascino che cresce.
Per i ragazzi sono stati giorni intensissimi, in cui ogni rapporto, ogni sguardo con persone note o sconosciute ha aperto squarci di infinito. Penso a certi occhi attenti, al silenzio alla fine del giro col video di Giovanni Paolo II che incontra i genitori del giudice beato e da lì pronuncia quel discorso che provoca il risveglio della gente convenuta nella valle dei Templi di Agrigento, penso a certi ragazzi che spiegando la mostra hanno iniziato a interpellarsi sulle scelte universitarie e lavorative. Penso ai miei colleghi, prima scettici, poi via via sempre più coinvolti nel portare le classi, appassionandosi tanto da scoprire risvolti della beatificazione che non sapevamo neanche noi.
L’incontro con Rosario Livatino, uomo vero, cristiano autentico, in cui lavoro e fede non si possono staccare, come ha detto Luca spiegando alle classi, ha cambiato chi c’è stato. «Ce lo porteremo nel cuore» ha sottolineato Marina, un’altra studentessa. I ragazzi muovendosi, in azione, hanno scoperto stupiti che sanno spiegare, e non potevo crederci quando mi sono accorta che quelli più timidi, pur di uscire per quello che sono, avevano imparato la mostra a memoria. E che commozione quando ho visto Federico, uno dei ragazzi più “incollati” alla mostra al punto di venire anche di sabato, spiegare in modo credibile il lavoro di Livatino a un magistrato che era venuto con la scorta a seguire la mostra. Mi sono avvicinata, lo seguiva attentissimo, non per compiacenza: Federico era credibile, uno è credibile se crede in quello che dice e lo testimonia con la vita, con gli occhi. Ma chi poteva immaginare una ricchezza così?
Il successo delle 3.000 visite indubbiamente gratifica, ma ancor più rende grati lo spettacolo umano di cui siamo stati parte, che certo ha a che fare con l’incontro con un Santo della quotidianità, in una convivenza attenta e attiva. Abbiamo guardato insieme un testimone che si è incuneato nel nostro cuore, fino allo stupore di trovarci cambiati.
Marina, Genova