(Unsplash/Hans Reniers)

Il vero impegno della vita

L'impiego in una multinazionale, le giornate piene, scandite da mille impegni tra lavoro e famiglia. E tante cose "lasciate indietro". Come la telefonata a una professoressa che aveva bisogno di una mano. E che un giorno Luca decide di chiamare...

Sono un chimico, sebbene poco operativo perché, da diversi anni, ricopro una posizione tecnico-commerciale che mi porta in giro per l’Italia, cosa che tra l’altro mi piace parecchio perché incontro persone e vedo generalmente posti belli. Lavorare per una multinazionale porta con sé non poche sfide: dai mantra quotidiani come accelerate, prioritize, operation, execution alle milioni di cose da fare con un calendario di attività smisurato, mettendoci dentro guidare per centinaia di chilometri, molte telefonate, spesa per la casa ed un supporto alla famiglia (ho quattro figli) quando si riesce. Insomma, il livello di impegno con la vita è arrivato a un limite piuttosto elevato. Tanto che un po’ di cose, poco o tanto colpevolmente, le lascio scivolare: lo dice anche l’azienda che occorre porre delle priorità, quindi i sensi di colpa vanno via via ad affievolirsi.

Tra le varie cose lasciate coscientemente indietro, la richiesta di una collega: sentire una professoressa di Ferrara che cercava strumenti usati per delle attività. Rispetto ai miei obiettivi principali, una vera e propria perdita di tempo.

Durante un viaggio lungo deciso di chiamarla, nel peggiore dei casi mi terrà compagnia per un pezzo di strada. E qui si apre la sorpresa della giornata. Trovo dall’altra parte del telefono una sconosciuta professoressa di nome Michela che insegna in un Itis. Da una prima impressione sembra piuttosto pimpante, appassionata, ma al tempo stesso è addolorata perché il mondo della scuola è in crisi di investimenti, ed in particolare il suo istituto ha deciso di tagliare le attività dell’indirizzo chimico, in nome della “sicurezza”: in buona sostanza ogni scusa è buona per limitare le azioni dei laboratori.

Inizia, così, il dialogo con lei. Le racconto che la nostra seconda figlia ha iniziato il primo anno dell’Itis a Modena, proprio con l’indirizzo chimico, e di come, durante le medie, l’aver avuto la possibilità di provare alcune attrezzature che portavo a casa, le abbia fatto scoprire pian piano una voglia immensa di mettere le mani in pasta e provare. Parlare con Michela mi ha fatto riguardare all’esperienza mia figlia e mi ha sciolto il cuore per i suoi studenti, tanto da proporle di portare uno dei miei strumenti nelle sue classi e fare insieme lezione.

Mi sono rientusiasmato per quello che ho visto accadere alle superiori, dove ho incontrato il movimento, per negli anni intensi in università, per quelli di lavoro, seppur pesante e pressante. E per la vita piena di passione che dei nostri figli più grandi. Ho riscoperto il desiderio che, almeno un minimo, anche quei ragazzi possano vedere persone “prese”, proprio come la loro prof, con il desiderio di ri-condividere non tanto un arido elenco di compiti da svolgere o una lista di nozioni, seppur sia necessario anche questo, ma da un presente che brucia.

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Capisco ancora di più l’invito che ci fa don Giussani attraverso Goethe: «Quel che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo». Non solo quei ragazzi, non solo i nostri figli, ma io a quasi cinquant’anni, che lavoro per una delle più grandi aziende del settore scientifico con una posizione di un certo riguardo, ho bisogno di riscoprire questo nel presente. Dentro le mille e più sfaccettature e responsabilità cui si è chiamati quotidianamente, scopro che questo è il vero impegno della vita: lasciarsi prendere per maturare. Tanto che il guadagno non sta più (solo) nell’attività di vendita, ma ancor di più nel crescere e riprendere coscienza di cosa mi soddisfa adesso.
Luca, Modena