Gli anziani all'Opera Carmelo Caporale di Buccinasco (Milano)

«Il mio centuplo tra i nonni»

Le domande dell'inizio «che sono le stesse di oggi». Ma anche tanti passi e scoperte. Ines racconta la caritativa che fa da trent'anni: fare compagnia agli ammalati e agli anziani di un'opera alle porte di Milano

«Si va in caritativa per portare Gesù», ci ha detto don Giussani ne Il senso della caritativa. Ma cosa significa «portare Gesù»? Più vado avanti e più capisco che non è scontato capire il significato di questa frase. All’inizio pensavo che per portare Cristo occorresse parlare di Lui in continuazione, affinché l’altro si accorgesse di quanto fossi brava, ma «parlare di Gesù» non sempre funziona, anzi quasi mai, soprattutto di fronte alla sofferenza, i dubbi, la solitudine, la vecchiaia, la morte.

È da trent’anni che faccio la stessa caritativa: la compagnia agli ammalati e agli anziani all’interno dell’Opera Carmelo Caporale di Buccinasco, alle porte di Milano. Ho iniziato per obbedienza ad un amico di cui mi fidavo che mi ha chiesto di andare a trovare una malata terminale. Ho accettato, ma le domande erano tante: come si fa a star di fronte a una persona che tra qualche mese morirà? Cosa posso dirgli? Cosa vuol dire portare Gesù a lei?

Questo amico non mi aveva dato grandi risposte, ma mi aveva fatto compagnia sulle domande. «Il tuo compito», mi aveva detto «è accompagnarla all’appuntamento più importante della sua vita, quello con Cristo. Non devi fare molto. Stai con lei. Se vuole pregare prega, altrimenti fallo tu».

L’importanza dello “stare” l’ho capita molto tempo dopo. È nello stare, senza fretta, senza guardare l’orologio, che si svela piano piano l’importanza di quell’istante. E l’istante è importante perché abitato da Cristo. In questi anni è diventato sempre più chiaro che non sono io che faccio compagnia all’amica malata, ma Cristo attraverso di me si mostra dentro quella circostanza dolorosa. E se si mostra Cristo, il guadagno ovviamente è anche per me, soprattutto per me.

La compagnia a chi è più fragile, che siano anziani o ammalati, è veramente educativa. Sto scoprendo cosa vuol dire essere amati, valorizzati, aspettati, abbracciati, festeggiati. Sto imparando con loro cosa vuol dire la fatica di non poter fare alcune cose come le facevo prima. Sto imparando cos’è la fragilità e di conseguenza l’importanza dell’abbandonarsi. Le domande non si sono affatto risolte, forse ci sono più di prima. Cosa allora mi fa dire che non sono allo stesso punto dell’inizio? Tre cose.

La compagnia. Ho incontrato amici con cui fare la caritativa, con i quali ci aiutiamo ad accorgerci di ciò che accade: dei piccoli o grandi passi che vediamo accadere nei nonni o in noi.

Il metodo. Quando è nata la caritativa all’Opera, insieme ai volontari, abbiamo voluto seguire il metodo dettato da don Giussani. Una volta al mese, ci troviamo a lavorare sul libretto Il senso della caritativa, facendoci aiutare da una persona più grande di noi nella fede. La lettura ci aiuta a giudicare quello che stiamo facendo, ci si racconta l’emozione e le commozioni che viviamo andando a trovare ammalati, nonni e nonne. È anche l’occasione per far emergere le fatiche nostre e di quelli che andiamo a trovare, per confrontarci sui passi fatti e per correggerci vicendevolmente.

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Il centuplo. Guardando a questi trent’anni, mi accorgo che non potrei andare avanti esclusivamente per uno slancio avuto all’inizio, ma per qualcosa che accade ora. Ogni venerdì sperimento la bellezza dell’inizio e la bellezza del presente. Stare coi nonni è come stare di fronte a Gesù che mi chiede: «Mi ami tu?».
Ines, Buccinasco (Milano)