Le proteste con le tende davanti all'Università Statale di Milano (Foto Ansa)

Università e alloggi. Una questione di presenza

Caro affitti, mancanza di posti letto, le proteste con le tende davanti agli atenei. Un problema reale. Su cui, da tempo, non solo le istituzioni ma anche gli studenti sono al lavoro
Stefano Filippi

Le tende dei fuorisede sono tornate. Davanti alle università italiane è ripartita la protesta degli studenti contro il costo dei posti letto e la scarsità di alloggi pubblici. Dopo il Covid i prezzi delle camere sono impazziti: secondo un’indagine di Immobiliare.it citata dal Sole 24 Ore, dal 2019 i canoni sono saliti del 10 per cento con punte tra il 20 e il 40 in alcune città. A Milano l’affitto di una stanza singola costa in media 626 euro al mese, cui vanno aggiunti altri 200/300 euro per le bollette. Somme insostenibili non solo per i meno abbienti, ma anche per molte famiglie che un tempo si sarebbero definite del “ceto medio”. Un altro dato conferma le difficoltà: l’anno scorso alla Statale di Milano le domande di borse di studio sono aumentate del 43 per cento. «Problema reale», ammette Pietro Piva, ultimo anno di Filosofia alla Statale e responsabili del Coordinamento liste per il diritto allo studio (Clds). Gli fa eco Elia Montani, stesso corso di laurea, presidente della Conferenza degli studenti della Statale e membro del Senato accademico per la lista Obiettivo Studenti: «Ho denunciato il caro affitti a Milano lo scorso 17 marzo, intervenendo all’inaugurazione dell’anno accademico». Ben prima che fossero piantate le tende.

Chi è presente in università è al lavoro da tempo. «Le proteste hanno le loro ragioni ma secondo noi non centrano il punto», dice Elia. «Giusto chiedere più posti letto a prezzi più bassi, manca però una riflessione sul perché sia sensato investire su questo. In pochi si chiedono che valore abbia la presenza dell’università in città e degli stessi studenti. Perché è importante essere presenti e non fare i pendolari o frequentare a distanza? Parlare di residenze significa parlare di presenze, dell’importanza che si creino comunità nella città e che si faccia spazio a soggetti protagonisti e appassionati del reale. E se si investe sui posti letto bisogna offrire una città abitabile, con trasporti e sicurezza adeguati: ma se si rendono le città solo per turisti o partecipanti alle fiere, c’è sempre meno spazio per i giovani e per il dibattito culturale. C’è poi un’altra questione: che tipo di studenti vogliamo? Se l’impennata dei prezzi esclude il ceto medio è una sconfitta per tutti, perché significa perdere parte di coloro che costruiranno il nostro futuro. Dobbiamo recuperare un modello culturale e di intervento politico che non lasci indietro nessuno».

È un percorso interessante: da un disagio reale nascono domande che vanno oltre la semplice protesta a favore di telecamere e arrivano a uno sguardo che abbraccia una realtà complessa. «Facciamo un’esperienza che ci ha portato a esprimere alcuni giudizi che abbiamo voluto mettere in campo per interloquire con gli studenti e con le istituzioni», spiega Pietro. «Non abbiamo nulla da difendere, ma proponiamo qualcosa avendo per ideale il bene di tutti. Abbiamo deciso di mettere a tema il valore della presenza, lo scopo di avere studenti in città. In questo, la cosa per noi più interessante è stata riscoprire l’amicizia che sostiene questo lavoro. C’è chi si muove per protesta e chi, ormai pochissimi, per una passione “politica”. Invece questa amicizia, che nasce nel cammino della fede, ha permesso una riflessione e una proposta che altrimenti non ci sarebbero. L’esperienza che facciamo assieme è diventata il criterio per un giudizio». Per esempio? «Uno dei grandi protagonisti di questo dibattito è la stanza singola. Pare che la chiedano otto studenti su dieci. È chiaro che tale fenomeno riduce l’offerta di posti letto e fa salire i prezzi. Invece, molti di noi accettano di vivere in camera con altre persone. L’approccio è totalmente diverso. È solo una questione di soldi, oppure quest’apertura alla condivisione ha un’origine diversa? Che esperienza facciamo per superare l’individualismo? E questa vita assieme ha qualcosa da dire al contesto in cui viviamo?».

LEGGI ANCHE - Il nodo rovente della "povertà educativa"

A fine settembre Montani ha portato questi contenuti alla Giornata del diritto allo studio, indetta dal rettore della Statale, Elio Franzini, che ha coinvolto l’Ateneo, il Ministero, la Regione Lombardia, il Comune di Milano e altre istituzioni. La settimana prima Elia era intervenuto al terzo Tavolo di lavoro del Comune di Milano, quando il sindaco Giuseppe Sala e l’assessore Pierfrancesco Maran hanno incontrato i rappresentanti degli studenti. Sarà un lavoro lungo e articolato vista la complessità delle questioni in gioco. «Abbiamo trovato interlocutori attenti al tema della presenza e del valore delle persone», osserva Pietro. «Significa che porre le domande nate dalla nostra esperienza non è una cosa da ingenui, ma un fattore che crea rapporti per entrare nel merito dei problemi».